Nella sempre più complicata crisi libica entra pesantemente Atene.
Nella giornata di ieri il Ministro degli Esteri Greco ha incontrato a Bengasi, in Cireanaica, il Maresciallo Haftar, comandante del Libyan National Army, recandosi successivamente a Il Cairo e Nicosia.
Come è noto, Haftar si contrappone a Sarraj, premier del Governo di Tripoli, l’unico ufficialmente riconosciuto dalle Nazioni Unite.
Per la Grecia la situazione è precipitata a seguito della dichiarata entrata in vigore dell’accordo con cui Tripoli ed Ankara riconoscono le rispettive ZEE. Ovviamente, è un accordo che non tiene minimamente in conto la posizione greca che rivendica come sue le acque al centro dell’accordo.
Gli accordi tra Tripoli ed Ankara
L’accordo tra Tripolitania e Turchia è solo uno degli aspetti dell’alleanza stretta tra Sarraj ed Erdogan che riguarda il lato militare e lo sfruttamento delle immense risorse energetiche libiche.
Avendo lo LNA accentuato la pressione attorno a Tripoli ed a Misurata, principale alleata di Sarray e nemica acerrima di Haftar, il Governo di Tripoli ha richiesto ad Ankara di attivare i protocolli militari dell’accordo.
Da parte sua, il Parlamento Turco ha ratificato l’accordo sollecitando il Presidente Erdogan a disporre tutte le azioni necessarie per portare aiuto “ai fratelli libici”.
La chiamata alle armi di Sarraj
Da notare che Sarray ha richiesto l’aiuto militare non solo alla Turchia; infatti, analoga richiesta è pervenuta a Londra, Washington e Roma. Mentre Londra è rimasta apparentemente silente, probabilmente a causa della concomitanza con il voto nazionale che ha cambiato gli scenari politici britannici, Washington ha espresso solo cautela e timore che la situazione possa degenerare. Inoltre, il Dipartimento di Stato accusa apertamente Mosca di impiegare contractors a sostegno delle operazioni del LNA di Haftar. Su questi contractors pende il sospetto che abbiano cagionato l’abbattimento di un drone statunitense in missione di sorveglianza, abbattimento registratosi immediatamente dopo la perdita per “motivi tecnici” di un MQ-9B Reaper in dotazione all’Aeronautica Militare.
Roma fuori dai giochi?
La posizione di Roma dinanzi all’ennesima richiesta di aiuto di Tripoli è stata la solita; la crisi è risolvibile solo per via politica, invitando le parti a riprendere le trattative di riconciliazione.
Ma le parole del Ministro Di Maio, titolare della Farnesina, sono state subito smentite dal Presidente Erdogan che ha preannunciato l’invio di uomini e mezzi in Libia a sostegno del GNA, l’esercito che fa capo a Sarray. Da qualche tempo, invero, la Turchia è già presente sul campo, soprattutto, nell’area di Misurata dove ha inviato tecnici e piloti di droni di fabbricazione nazionale. Proprio, la presenza di questa cellula turca ha suscitato la reazione rabbiosa dei cirenaici che hanno sottoposto a bombardamento più volte l’aeroporto di Misurata da dove decollano i droni turchi. Nello stesso aeroporto è presente l’ospedale militare italiano, protetto da un nostro dispositivo di sicurezza a terra, per il quale sono previsti lavori urgenti per il rafforzamento e la protezione delle infrastrutture.
Lo stesso Erdogan dichiara che il suo Paese aumenterà il supporto militare alla Libia se necessario e valuterà le opzioni aeree, terrestri e marine.
Le mire di Atene e la partnership con Il Cairo
In tutto questo, con l’Italia spiazzata dalla deriva bellica, la Grecia scende in campo, forte dell’accordo militare con l’Egitto e Cipro, altra area di enorme frizione tra Atene, Ankara ma anche Roma, Parigi, Il Cairo e Tel Aviv.
La partnership greco-egiziana militare, energetica ed economica trova terreno fertile in questa crisi perché la Grecia contesta l’accordo tra la Libia e la Turchia sul riconoscimento delle rispettive ZEE e perché l’Egitto, sponsor di Haftar, non vuole la Turchia in Libia.
Il 2 gennaio, Grecia, Cipro ed Israele firmeranno l’accordo per la realizzazione del gasdotto EastMed a cui, successivamente, si aggiungerà la firma italiana. Non è un caso che la Marina Militare abbia incrementato le visite a Cipro, esercitandosi con la Marina Greca e le unità navali cipriote. Inoltre, da anni, la Marina Militare si addestra con l’omologa israeliana. Sicuramente, la firma dell’accordo per l’EastMed getterà ulteriore benzina sul fuoco perché la Turchia non riconosce la ZEE cipriota, acque nelle quali sono stati scoperti importanti giacimenti di gas di cui Ankara rivendica la proprietà ed ostacola le attività esplorative.
Al Sissi tuona contro l’ingerenze straniere in Libia
Da parte sua il Presidente Al Sissi, a seguito dell’annunciato intervento turco, ha immediatamente pronunciato parole chiarissime; l’instabilità libica genera problemi alla sicurezza egiziana per cui ha invitato le Forze Armate a preparare piani per stroncare la minaccia. Di fatto, è la risposta egiziana al pesante attivismo turco in tutta l’area.
Ad Atene hanno iniziato a prendere in considerazione l’idea di ostacolare i movimenti aeronavali turchi; infatti, non passa giorno che, nonostante l’embargo alle armi decretato dall’ONU ai tempi della guerra contro Gheddafi mai rispettato, si segnalano arrivi di navi ed aerei cargo provenienti dalla Turchia e non solo. E’notizia di oggi che la milizia marittima di Haftar avrebbe sequestrato un cargo battente bandiera di Panama ma con equipaggio turco. Pare che Egitto e Grecia vogliano tentare di bloccare il flusso di rifornimenti che arriva per via navale al Governo di Tripoli ed ai suoi alleati.
Algeri si muove in soccorso di Misurata
Nel calderone libico che vede presenti il Qatar a sostegno di Tripoli, gli Emirati Arabi Uniti e la Giordania, con l’Arabia Saudita grande sponsor di Haftar, non poteva mancare l’Algeria che contende all’Egitto il ruolo di potenza regionale.
La sin qui silente Algeri ha iniziato ad inviare rifornimenti per via aerea a Misurata. L’Algeria, oltre il limitrofo Marocco, non è in buoni rapporti con l’Egitto, ed ovviamente, non ha alcun interesse a vedere Il Cairo rafforzarsi in Libia.
Parigi all’empasse
La Francia sembra essere stata presa in contropiede dall’accellerazione della crisi. Oltre a continuare sporadiche missioni di sorveglianza elettronica ed ancor più rari attacchi aria-terra con munizionamento di precisione, pare non voglia o possa andare. Infatti, deve far fronte alla pesante crisi interna che sta ponendo in seria difficoltà il Governo e la Presidenza Macron. Per di più Parigi è impelagata nell’operazione Barkane che sta logorando in un teatro vastissimo buona parte delle risorse dell’Armèe de Terre e dell’Armèe dell’Armèe de l’Air. Inoltre, rimane aperto il fronte siriano e si è iniziato a ridurre il contingente in Iraq, peraltro, tornato nuovamente in uno stato di crisi che sta scivolando verso una nuova guerra civile tra sciiti e sunniti.
Conclusioni
Questa breve analisi della situazione porta a credere che una soluzione pacifica della crisi libica sia oltremodo lontana dal realizzarsi. Infatti, troppi attori sono scesi in campo o si preparano a scendere in campo. Si ha la sensazione che, presto, Sarraj ed Haftar saranno dimenticati a favore di ben altri personaggi. Improvvisamente, pare che l’orologio della Storia abbia ripreso a scoccare in modo vorticoso. Le conseguenze potrebbero essere importanti, andando a sollecitare e far saltare la sorta di equilibrio, peraltro assai ridotto, di rapporti, sia pure non brillanti ed in alcuni casi pessimi, esistenti tra le potenze regionali.
Insomma, si prepara uno scenario di grave crisi internazionale che potrebbe degenerare in guerra aperta dagli esiti indecifrabili. Roma farebbe bene ad attrezzarsi per tempo al peggiore degli scenari, considerato che gli Accordi di Parigi e la cabina di regia, voluta dagli Stati Uniti per risolvere la crisi, sembrano ormai superati dagli eventi.