di Pietro Di Natale
NUBI ALL’ORIZZONTE – IL MONDO IN GUERRA
Come sappiamo, gli Stati Uniti non entrarono immediatamente in guerra allo scoppio delle ostilità nel 1939. Tuttavia, Washington iniziò a rifornire l’Impero Britannico di armamenti e petrolio. Ovviamente, paritempo interruppe tutte le forniture verso le potenze dell’Asse. In particolare il Giappone dipendeva esclusivamente dagli Stati Uniti per il rifornimento di petrolio (all’epoca gli USA erano il maggior produttore di greggio) e, allorquando dichiararò guerra all’Impero Britannico, all’Olanda, Nuova Zelanda e all’Australia, si vide interrompere la vitale fornitura dell’oro nero. I Giapponesi furono quindi costretti a “rivolgersi” al secondo produttore mondiale: l’Olanda.
L’Insulindia era ricca di giacimenti petroliferi e divenne un obiettivo strategico per le truppe giapponesi. Ma guardando una qualsiasi cartina geografica si nota subito che la rotta tra le Indie Olandesi ed il Giappone passa in prossimità delle Filippine, all’epoca “colonia” americana.
Considerando che gli Stati Uniti, oltre ad interrompere le forniture ai Giapponesi e a denunciarne diplomaticamente il comportamento, iniziarono a rifornire gli Australiani di materiale bellico (i “manciuriani” di Tojo miravano alla conquista dell’Australia) ed a potenziare le proprie guarnigioni nel Pacifico, l’Alto Comando Giapponese prevedeva la loro entrata in guerra al fianco delle potenze Alleate.
I comandanti giapponesi conoscevano personalmente i comandanti americani ed avevano visitato gli Stati Uniti e visionato il loro potenziale industriale e militare. Ritenevano quindi imperativo attaccare di sorpresa gli americani per guadagnare il tempo sufficiente a “riempire i serbatoi” di petrolio e ricostruire le riserve, pesantemente intaccate dai primi mesi di guerra. Sapevano che sarebbe occorso del tempo all’imponente apparato industriale statunitense per iniziare a produrre a ritmi inarrivabili per qualunque altra nazione.
I giapponesi dovevano conseguire tre obiettivi:
- Cementare la “Sfera di Prosperità Comune”, la catena di conquiste di obiettivi nell’Asia/Pacifico.
- Completare l’operazione “Riempimento Serbatoi” e ricostituire le riserve strategiche di materie prime.
- Trattenere gli Statunitensi il più possibile per costringerli ad uno stallo e sperare in trattative di pace favorevoli.
Per ottenere questi risultati era necessario colpire a sorpresa gli Statunitensi. Il Grande Ammiraglio Isoroku Yamamoto spingeva per attaccare ad est e riuscì a convincere i “manciuriani” che facevano capo a Tojo a sospendere temporaneamente i piani di attacco verso l’Australia e, domenica 7 Dicembre 1941 (lunedi 8 Dicembre a Tokio), le truppe imperiali bombardarono a sorpresa (in realtà ci furono deplorevoli errori nella trasmissione della dichiarazione di guerra) la base americana di Peral Harbor e contemporaneamente sbarcavano nelle Filippine, dove il Generale Douglas MacArthur tentava di organizzare la resistenza con le forze a sua disposizione ed con i locali combattenti filippini.
L’attacco alla base americana di Pearl Harbor fu eseguita dalla task force di portaerei da battaglia sotto il comando dell’Ammiraglio Chuichi Nagumo. Questo attacco, similare a quello effettuato dalle portaerei inglesi a Taranto e studiato a fondo dai Giapponesi, si concentrò sulle navi da battaglia. Si sapeva che le portaerei non erano in porto (erano impiegate per trasportare aerei alle guarnigioni del Pacifico) e che nelle acque basse di un porto è più facile recuperare le navi per ripararle. Inoltre buona parte degli equipaggi sarebbe rimasta a terra con le difese antiaeree ed antisommergibile ridottre numericamente e in operatività. Nonostante tutto, il violentissimo attacco si rivelò una potente mazzata per la US Navy e le occorsero diversi mesi per riprendersi completamente dallo shock. Si temeva addirittura un attacco al territorio metropolitano americano, anche a seguito dell’attacco portato dai Giapponesi alle Isole Aleutine.
UNA SCONFITTA VITTORIOSA ED UNA BATTAGLIA DECISIVA – LA SVOLTA NEL PACIFICO
Verso la metà del 1942 si svolsero due grosse battaglie aeronavali nel Pacifico che contribuirono alla svolta decisiva della guerra. In entrambi i casi l’intelligence fu fondamentale per fornire all’Ammiraglio Chester Nimitz le informazioni vitali per prepararsi allo scontro, ma le portaerei sostennero i combattimenti, consacrandosi definitivamente come nave da guerra principale, spodestando definitivamente la concorrenza della corazzata.
Nel Mar dei Coralli, pur subendo una grave sconfitta (la USS Lexington affondata e la USS Yorktown gravemente danneggiata), la Marina USA (guidata dall’Ammiraglio Frank Fletcher) riuscì a fermare i giapponesi in “marcia” verso l’Australia. Questa “sconfitta vittoriosa” permise agli Alleati di mantenere il controllo della vitale piazzaforte di Port Moresby (Papua Nuova Guinea) e costrinse i Giapponesi a rinunciare ai piani di conquista dell’Australia.
Nella battaglia decisiva di Midway le portaerei americane USS Enterprise, USS Hornet (Ammiraglio Raymond Spruance, secondo in comando) e la USS Yorktown (Ammiraglio Fletcher, CINC), riparata a tempo di record e rimessa in mare in fretta e furia dopo il ritorno dal Mar dei Coralli, affondarono le portaerei Akagi, Kaga, Soryu e Hiryu (CinC Nagumo, 2iC TamonYamaguchi). La USS Yorktown venne attaccata 2 volte ed affondata dagli aerei di Yamaguchi, ma i giapponesi persero le loro quattro principali portaerei da battaglia, buona parte dell’aviazione imbarcata, equipaggi e tecnici esperti ed un ammiraglio, Yamaguchi, che avrebbe potuto sostituire Yamamoto, rimasto ucciso durante un agguato al suo aereo da trasporto teso da una squadriglia di P38 dell’USAAC. I cantieri e le scuole non riusciranno a sostituire le perdite umane e materiali subite quel giorno a Midway, mentre i cantieri americani e le scuole di volo della US Navy sforneranno a ritmi incredibili nuove navi ed equipaggi ben addestrati e motivati.
IL POTERE AEREO SI EVOLVE – DAI BUFFALO AGLI HELLCAT
Gli stormi aerei imbarcati iniziarono a standardizzarsi sui nuovi modelli di caccia, sempre più performanti ed efficaci. Gli obsoleti Brewster Buffalo vennero sostituiti dagli F4F Wildcat, mentre i TBD Devastator, che diedero una pessima prova e subirono pesanti perdite, vennero sostituiti dagli SBD Dauntless. I nuovi aerei vennero affiancati dagli aerosiluranti TBF Avenger.
Sulle portaerei di squadra erano imbarcati 36 caccia Wildcat, 36 bombardieri Dauntless e 18 aerosiluranti Avenger. Le prestazioni degli aerosiluranti (così come quelle dei sottomarini) rimasero deludenti per via di un siluro di pessima qualità. Quando i Marines conquistarono un deposito di siluri giapponesi Long Lance, questi furono subito studiati (e copiati!) dalla Marina, che perfezionò così il proprio materiale. Il salto di qualità fu netto e visibile ed i siluri americani diventarono efficaci esattamente come quelli giapponesi.
I caccia F4F Wildcat vennero sostituiti dai potenti F6F Hellcat, più veloci, robusti e con maggiore autonomia, anche se meno manovrabili. Con essi la US Navy fece stragi di caccia giapponesi, assicurandosi la superiorità aerea nel Pacifico.
LEZIONI APPRESE
Alcune delle intuizioni pre-belliche si confermarono azzeccate. Emergeva infatti la necessità di navi grosse e veloci, che potessero trasportare un alto numero di velivoli ed essere in grado di sostenerli in azione, coprendo rapidamente le enormi vastità dell’Oceano Pacifico, reggendo il mare e le sue condizioni atmosferiche inclementi (tifoni).
Si era compreso che con l’imbarco di velivoli sempre più grossi e sofisticati, in proporzione lo spazio destinato ai ricambi diminuiva. Le dimensioni generose delle navi inoltre consentivano di facilitare la movimentazione degli apparecchi sul ponte e le operazioni di volo.
Alcune idee come le catapulte per lanciare gli aerei dal ponte hangar furono definitivamente accantonate mentre continuava ad essere considerata fondamentale (lo è tutt’oggi) la blindatura anti-siluro. L’idea di sostituire gli elevatori laterali basculanti con elevatori convenzionali poste sulla fiancata delle navi anziché al centro del ponte fu recepita e messa in pratica con laa nuova classe di “superportaerei” da battaglia Essex.
Le portaerei da battaglia della Classe Essex condensavano in un progetto eccezionale tutte le lezioni apprese dalla US Navy nel periodo pre-bellico e nei primi anni di guerra e diventeranno ben presto le più potenti navi da guerra del pianeta. La classe Essex non vedrà navi affondate dal nemico e molte unità della classe verranno impiegate fino agli anni ’70, convertite per operare con i jet F8 ed A4 o come portaerei antisommergibili, con i velivoli S2 e gli elicotteri SH/3D.
OPERATION HAILSTONE (17/18 Febbraio 1944)
L’Ammiraglio Nimitz, liberate le forze dalla massiccia operazione di conquista di Guadalcanal e dopo le battaglie del Mar dei Coralli e di Midway, constatato che la lama del rasoio era ormai ben affilata, iniziò a scatenare le Task Force di portaerei, guidate da ammiragli battaglieri e capaci come Fletcher, Halsey e Spruance, contro le forze imperiali giapponesi.
Le Task Force americane dimostravano di poter colpire, quasi impunemente e senza preavviso, in qualsiasi punto del Pacifico, portando con se distruzione e morte.
Le portaerei effettuavano raid contro avamposti e capisaldi, scatenavano l’inferno che precedeva gli sbarchi dei Marines e dell’Esercito sulle isole del Pacifico ed attaccavano piazzeforti come Raboul.
Ma, quando una sera di febbraio del 1944, ai marinai ed ai piloti venne svelato l’obiettivo del loro prossimo raid, gli si gelò il sangue: Truk!
Truk la temibile, l’imprendibile super-base navale giapponese, la super-Pearl Harbor della marina imperiale. Era impossibile, ritenevano gli equipaggi americani, attaccarla.
Nonostante i dubbi ed il terrore, gli aerei americani scatenarono un inferno di fiamme e devastazione sulla base e sulle installazioni accessorie, arrecando danni ingenti ai giapponesi subendo al contempo perdite lievissime. L’impensabile era accaduto: le portaerei americane avevano devastato impunemente il cuore pulsante della marina nipponica! Le Task Forces di portaerei americane potevano essere scatenate contro qualsiasi nemico per annientarlo totalmente con perdite contenute in termini di personale e materiali. Ormai la sconfitta giapponese era assicurata!
GIGANTI INDIFESI
Per quanto potenti e terrificanti, le portaerei non erano pensate per scambiare bordate ed incassare il fuoco nemico. Andavano protette da schermi di cacciatorpediniere, incrociatori e navi da battaglia che assicuravano uno schermo anti-sommergibili e, soprattutto, un nutrito fuoco anti-aereo. Inoltre ancora era radicata l’idea che le navi da battaglia fossero il fulcro delle flotte, affiancare le portaerei a queste ultime era un efficace sistema per stornare fuoco in arrivo dalle preziosissime “flattops” (“sopra piatti”, nomignolo affibbiato alle portaerei), sacrificando per la causa le più robuste e protette sorelle.
Si ebbe una prova della fragilità delle portaerei durante il più grande scontro navale della guerra, la Battaglia di Leyte. Un’incauta decisione di Halsey lasciò le portaerei di scorta alla mercé della flotta di superficie giapponese.
La Task Unit 77.4.3 (Taffy 3) si ritrovò in balia della flotta giapponese (guidata dall’Ammiraglio Takeo Kurita sulla nave da battaglia Yamato). L’ordine assurdo del comandante giapponese (attacco generale, che frammentò la flotta giapponese in divisioni che non agivano in maniera coordinata) e l’eroica reazione dei cacciatorpediniere americani, che si gettavano contro le più potenti corazzate ed incrociatori giapponesi, pur di distoglierle dalle portaerei di scorta che proteggevano, fece si che una situazione critica non si trasformasse in un completo disastro.
I Giapponesi, pensando di essere incappati nella flotta nemica principale e temendo un attacco di siluri, si ritirarono, salvando gli increduli americani dal massacro totale.
Eppure le portaerei leggere vennero martoriate, molte gravemente danneggiate, alcune affondate, come la USS Gambier Bay, che si capovolse ed affondò dopo essere stata martoriata dalla Yamato.
La necessità di proteggere le portaerei emerse drammaticamente nel proseguo della campagna del Pacifico. Avvicinandosi al sacro suolo giapponese gli americani rimasero vittima di un nuovo tipo di attacchi, in cui i piloti giapponesi si gettavano coi loro apparecchi sui ponti delle navi nemiche, sacrificandosi nella speranza di poter infliggere perdite devastanti al nemico. Gli attacchi speciali venivano condotti da volontari, chiamati “kamikaze”, il vento divino che aveva affondato la flotta coreana inviata a conquistare il Giappone. Questi attacchi provarono gli americani sia a livello materiale che a livello mentale, infliggendo danni gravissimi anche ad unità di grandi dimensioni, come le portaerei. Per proteggere queste navi capitava che le corazzate mettessero in funzione anche i loro supercannoni; tutto si tentava pur di difendere le “capital ships”.
Le portaerei andavano e devono essere protette molto bene!
L’EVOLUZIONE CONTINUA
Portaerei ancora più grandi, le portaerei da battaglia della Classe Midway, entrarono in linea nel 1945. Unitamente a queste “super-portaerei” arrivavano anche nuovi aerei imbarcati (anche se molti di questi furono impiegati da basi a terra), più potenti e sofisticati, come i Vought F4U Corsair (che in Corea riuscirono ad abbattere dei caccia a reazione MiG 15), i super-caccia bimotori Grumman F7F Tigercat, i caccia Grumman F8F Bearcat, i bombardieri Douglas SB2C Helldiver (usati anche dall’Italia nel dopoguerra come velivoli anti-sommergibili), nonché i potenti Douglas AD1 Skyraider, veri multiruolo in grado di effettuare missioni d’attacco al suolo, trasporto a bordo, pattugliamento anti-sommergibili, picchetto radar ecc.
Alcuni aeromobili non poterono entrare in linea a causa della fine del conflitto, altri (come l’F7F) potevano operare solo dalle superportaerei Classe Midway.
I Grumman F8F videro gli ordini dimezzati in seguito alla resa incondizionata del Giappone. E’ rimarchevole notare che la Marina USA, in poco più di tre anni, passò dai Brwester Buffalo e dai TBD Devastator che decollavano da incrociatori convertiti in portaerei USS Lexington ed USS Saratoga ai Grumman Bearcat e ad i Douglas Helldiver che decollavano dalle superportaerei da battaglia Midway!
La sfida tecnologica, oltre quella bellica lanciata dai Giapponesi, era vinta. Le portaerei americane erano diventate il punto di riferimento della strategia navale planetaria per i decenni a venire e sono, tutt’ora, il cardine delle operazioni militari interforze, nonché della proiezione di potenza statunitense.
scusa Pietro, solo una cosa: il Long Lance non fu mai copiato dagli americani, tanto più fu ‘trasformato’ in una arma da aereo: era una bestia enorme, fra l’altro calibro 610mm, che era assolutamente inadatto, anche in eventuali versioni ridotte, all’uso aeronautico. Il siluro usato per tutta la guerra dalla USN fu il Mk13, che all’inizio funzionò effettivamente molto male: nel 1943, su 105 siluri lanciati, solo 32 abbero una corsa soddisfacente. Questo perchè il siluro tendeva a perdere rotta visto la stabilizzazione pessima che aveva in aria prima dell’impatto nell’acqua. La cosa fu risolta utilizzando un derivato delle alette Kyoban, utilizzate sui siluri Type 91 giapponesi (di cui alcuni esemplari furono ritrovati inesplosi a Pearl Harbor), che migliorarono nettamente l’angolo di entrata e di conseguenza la affidabilità del siluro. A quel punto il siluro diventò affidabilissimo, e alla fine della guerra era sicuramente il migliore del mondo.