Introduzione
Da sempre nella storia dell’ Umanità, le Forze Armate sono state l’elemento più evidente della presenza dello Stato nei confronti del Cittadino. Nel mondo antico, in realtà anche in pieno Medio Evo, sono gli eserciti ad esercitare il “law enforcement”. Un esempio noto a tutti è quello della tradizione anglosassone di Robin Hood e dello Sceriffo di Nottingham, una sorta di attuale “Presidente della Provincia”. Proprio tale figura utilizzava l’esercito per ristabilire l’ordine costituto. Saltando al diciannovesimo secolo, negli Stati europei in cui arriva Napoleone si inserisce la tradizione della Gendarmeria, anche qui un corpo militare, mentre sarà il Primo Ministro Inglese Robert Peel a dare vita, nel 1829, alla prima polizia civile della storia, la Civilian Metropolitan Force da cui derivano i famosi “Bobbies”. Ugualmente, la Protezione Civile si è, con il tempo, distaccata dal mondo militare pur mantenendo dei legami molto forti con quest ultimo.
Richiami storici
Nel campo della Protezione Civile il percorso è stato ancora più lungo ed ogni Paese, indipendentemente dall’ appartenere o meno al Common Law, ha seguito la propria strada. Nella Roma Imperiale, flagellata periodicamente dagli incendi, ben 7 legioni di Vigiles, corpo appositamente istituito da Augusto nel 6 D.C. per assicurare la vigilanza notturna nell’Urbe, erano permanentemente assegnate alla lotta contro le fiamme. La tradizione di costruire su due piani, quello terra in pietra o in laterizio e quello rialzato in legno, rendeva molto fragile la sicurezza di una metropoli che all’ epoca già contava la somma immensa di 1 milione di abitanti.
Tornando a tempi più vicino a noi, è utile rammentare il terremoto di Messina del dicembre 1908 (prima grande catastrofe dello Stato Unitario Italiano con la possibile esclusione del sisma che distrusse l’ isola di Ischia e, soprattutto, il comune di Casamicciola nel 1883). Nell’occasione intervennero a sostegno della Regia Marina la Marina Imperiale Russa, nonché la Royal Navy che inviarono navi e rifornimenti di ogni genere per far fronte all’immane catastrofe abbattutasi tra la Sicilia e la Calabria.
Il Comando di Stato Maggiore del Regio Esercito mobilitò gran parte delle unità presenti sul territorio nazionale. Il Ministro della Marina ordinò alla divisione navale in navigazione nelle acque della Sardegna, composta dalle corazzate “Regina Margherita”, “Regina Elena”, “Vittorio Emanuele” e dalla corazzata “Napoli” di cambiare rotta e dirigere verso la zona disastrata. Una squadra navale russa alla fonda ad Augusta si era diretta a tutta forza verso la città con le navi “Makaroff”, “Guilak”, “Korietz”, “Bogatir”, “Slava” e “Cesarevič”. Subito dopo fecero la loro comparsa le navi da guerra britanniche “Sutley”, “Minerva”, “Lancaster”, “Exmouth”, “Duncan”, “Euryalus”. L’ Ammiraglio Ponomarëv fece approntare i primi soccorsi, prestando anche opera di ordine pubblico contro gli sciacalli che vennero spesso fucilati dopo processi sommari, resi difficili anche a causa delle incomprensioni linguistiche. Il 5 Gennaio 1909 Re Vittorio Emanuele III inviò un messaggio di ringraziamento alle armate, comprese quelle straniere, che operavano sul campo.
Più volte le Forze Armate Italiane sono state chiamate ad intervenire nel dopoguerra per portare soccorso in occasione di gravi e gravissime calamità che si sono abbattute sull’intero territorio nazionale, dall’alluvione del Polesine, alla frana del Vajont, senza dimenticare il terremoto di Gemona nel Friuli e quelli che hanno colpito ripetutamente colpito l’Umbria, le Marche, l’Abruzzo, il Lazio, l’Emilia-Romagna, la Sicilia.
Dal punto di vista della storia militare italiana merita sicura menzione la maggiore operazione militare fuori dal tempo di guerra del nostro Paese. In occasione del terremoto dell’ Irpinia del 1980 l’ esercito trasferì in meno di 24 ore oltre 6.000 uomini dalla “soglia di Gorizia” in Campania. In questo gigantesco sforzo aiutò anche la rinuncia alla licenza di moltissimi giovani di leva. Alla fine furono spostati dalle loro sedi oltre 17.400 uomini.
Richiami normativi italiani
Dal punto di vista normativo, la Protezione Civile nasce nel secolo scorso con l’accentramento delle funzioni di contrasto ai terremoti con il Regio Decreto Legge 1915 del 1919 sotto il Ministero dei Lavori Pubblici. Gli articoli 4, 5 e 6 esplicano le attività che Esercito, Aeronautica e Marina devono mettere in campo, le risorse come mezzi, hangar, cucine ed ospedali da campo. Una prima “smilitarizzazione” della Protezione Civile avviene con la nascita del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, nel 1938. La Guerra era avvertita come ormai vicina e la presistente organizzazione su base cittadina era considerata ormai insufficiente.
Nel dopoguerra, al seguito delle grandi catastrofi della Alluvione di Firenze del 1966 e del Terremoto del Belice del 1968 nasce un nuovo testo di legge, la 996/1970. Soprattutto in occasione della emergenza fiorentina l’impegno delle Forze Armate fu al centro di molte polemiche, considerato numericamente inadeguato. Da ricordare come, a seguito dell’ appello del politico americano Edward Kennedy si mosse anche l’ opinione pubblica statunitense che portò all’ impiego delle Forze Armate USA di stanza in Italia. La nuova legge, con l’ art. 3 organizza il Comitato Interministeriale della Protezione Civile costituito dal Ministro degli Interni, Tesoro, Difesa, Lavori Pubblici, Trasporti, Aviazione Civile, Agricoltura e Sanità.
A seguito della tragedia del piccolo Alfredo Rampi ed il relativo shock dell’ opinione pubblica, sotto la spinta decisiva di Giuseppe Zamberletti, allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nasce nel 1982 il Dipartimento della Protezione Civile il quale coordina tutte le attività emergenziali, compresa la Difesa Civile.
All’On.le Zamberletti spetta il merito indiscusso di aver introdotto il concetto di previsione e prevenzione distinto dalle attività di soccorso, l’organizzazione del servizio nazionale in tutte le sue componenti ed articolazione, la valorizzazione degli enti locali e del volontariato. Con la legge 225/1992 nasce il Sistema Nazionale della Protezione Civile che supera il precedente concetto di “Funzione”. Tutti gli attori del Sistema sono obbligati a dotarsi di una struttura di Protezione Civile. L’ Art. 11 individua le Strutture Operative della Protezione Civile elencando chi opera effettivamente nel soccorso. Dopo i Vigili del Fuoco vengono citate, al punto 2, le Forze Armate.
Questa composizione viene confermata appieno dal nuovo Codice della Protezione Civile, disciplinato dalla legge 1/2018 che conferma la precedente impostazione.
Esempi esteri
Negli Stati Uniti esiste la Federal Emergency Management Agency, la famosa FEMA, voluta dal Presidente Jimmy Carter nel 1979. Gli Stati Uniti considerano ogni emergenza in chiave locale, ossia gestita, sostanzialmente dalla Guardia Nazionale. Dopo l’ 11 Settembre la FEMA è stata posta da George W. Bush sotto la gestione del Dipartimento per la Homeland Security, militarizzandola nella sostanza. Come detto nel caso dell’ Alluvione di Firenze, le FFAA USA intervengono spesso in tutto il Mondo. I casi non si contano a partire dall’ eruzione del Vesuvio del 1944 in tempo di guerra.
In Messico, paese sismico fra i più a rischio nel Mondo, attualmente si sta ipotizzando un modello di Protezione Civile che attinga massicciamente alla leva. Con le forze d‘ elite impegnate nella sanguinosa lotta ai cartelli della droga, oltre 22 mila morti, e con il desiderio, principalmente della Marina, di entrare nel giro delle grandi missioni internazionali di pace rimane uno spazio importante per i coscritti. Già adesso l’ attività di protezione civile è parte integrante del percorso addestrativo delle reclute.
In Russia il modello è in continua revisione sin dal 1990. L’ Agenzia EMERCOM of Russia, che opera sotto un Ministero ad hoc, integra e fa lavorare fianco a fianco team di soccorso civili e militari. A queste due si aggiungono anche corpi definiti “paramilitari del soccorso”.
In Giappone l’ integrazione fra le Forze di Autodifesa e la Protezione Civile è, come noto, strettissima. In occasione dello tsunami del 2011 con successiva emergenza nucleare a Fukushima le forze armate hanno addirittura presidiato le pompe di benzina fornendo carburante agli oltre 20mila sfollati.
Flat Top
Il recente varo della LHD Trieste da parte della Marina Militare Italiana ha rilanciato il dibattito sulla flessibilità che questo tipo di naviglio può garantire. Gli esempi in cui le portaerei hanno partecipato alle operazioni di soccorso della popolazioni colpite da calamità naturali non si contano. La nuova classe di LHA America prevede la funzione di “disaster rilief” già a livello di progetto, soprattutto per la evacuazione di “personale non combattente”.
Anche le LHD di generazione precedenti, come la USS Nassau, LHD 4, ha partecipato nel 2004 ai soccorsi legati all’ Uragano Ike.
Tornando a parlare del Giappone le due nuove flat top Izumo e Kaga, procinto di essere trasformate in CV-l, sono state disegnate con in mente la possibilità di intervenire su eventi simili allo tsunami del 2011.
Ci sono anche alcuni esempi di utilizzo delle grandi portaerei catobar in situazioni emergenziali. A partire dalle famose immagini dello “svuotamento” del ponte di volo della Midway a seguito della fuga da Saigon davanti all’ avanzata Vietcong nel 1975 per arrivare alla raccolta dei “boat people” negli anni successivi. Nel 1994 la EISENHOWER , con a bordo la 10° divisione da montagna dell’U.S. Army si diresse a Port-au-prince, Haiti, dove furono la punta di lancia dell’operazione Uphold Democracy, nel tentativo di sostenere il governo haitiano democraticamente eletto. Le portaerei torneranno ad Haiti, compresa nave Cavour nel 2010, con la Carl Winson.
Ritornando al già citato disastro di Fukushima, la Ronald Reagan, a ben 240 km dalle coste, dovette riposizionionarsi per evitare la contaminazione da radiazioni.
L’ evento che ha visto il maggior numero di “flat top” impegnate in attività di soccorso è, ovviamente, il grande tsunami del 2004 nel SudEst asiatico con i suoi oltre 250mila morti. Solo gli Stati Uniti inviarono nell’ area la nave ospedale Mercy , la portaerei Lincoln e la LHD Bonhomme Richard. Francia ed Italia, per fare un raffronto inviarono le navi San Marco e Mistral.
Dual Use
Questa disanima, soprattutto per la chiave internazionale, spiega come oggi l’azione di soft power possa essere esercitata anche tramite la possibilità di garantire aiuto di fronte alle grandi emergenze naturali e non. Certi assetti, per loro stessa natura, si prestano senza difficoltà ad un utilizzo nel campo del “disaster relief”. Diverso discorso è quando ci appella all’ opinione pubblica interna presentando soltanto questo aspetto della propria attività sperando, da questa, di ottenere le risorse necessarie a portare avanti anche le attività combat.
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Disamina molto apprezzata, specialmente per aver saputo condensare in poco spazio un argomento impegnativo. Devo dire che il concetto di “dual use” presente nella dialettica politica italiana mi sembra l’ennesimo esercizio di ipocrisia, cosa di cui non si ha certo bisogno in un dibattito serio. Il nostro modello di missione all’estero, per quello che ne so fin dal 1982 (Libano), prevede la collaborazione con le autorità locali e il contributo a opere di pubblico interesse (scuole, pozzi, fognature e simili) spesso realizzati con l’utilizzo intelligente di risorse molto limitate.
Una cosa che vorrei sottolineare è che le missioni non strettamente militari comportano sempre gravi rischi al nostro personale in divisa, l’ultimo esempio è l’ospedale in Libia a due passi da un conflitto aperto. Il pensiero va sempre ai caduti di Kindu, esempio che dovrebbe essere scolpito a fuoco nel pensiero della nostra classe dirigente.