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La NATO ha espulso otto ufficiali russi accusati di spionaggio

Lo scorso sei ottobre la NATO ha provveduto ad espellere otto membri della missione russa di collegamento con l’Alleanza, con l’accusa che fossero “ufficiali dell’intelligence russa non dichiarati“, in pratica agenti segreti sotto copertura, revocandone l’accreditamento. Questo è quanto affermato in modo laconico mercoledì scorso da un funzionario della NATO.

Questo grave passe rappresenta l’ulteriore deterioramento dei rapporti tra la Russia e la NATO in corso da anni, progressivamente peggiorati dalla crisi della Crimea con l’Ucraina (e la relativa controversia nelle regioni orientali ucraine), a seguito della quale sono state disposte nei confronti di Mosca sanzioni economiche, commerciali ed industriali molto pesanti, tra cui anche la controversa questione relativa al gasdotto North Stream 2 che vede Washington ostile nei confronti di Berlino e Mosca.

L’espulsione dei funzionari della missione russa a Bruxelles sarebbe stata determinata sulla base delle risultanze di operazioni di controspionaggio che avrebbero accertato la conclamata attività di intelligence russa ai danni della NATO, svolta in alcuni Paesi dell’Alleanza con vere e proprie operazioni.

La NATO, a seguito di questa espulsione, ha disposto una limitazione del personale che Mosca ora può accreditare per la missione di collegamento, non superiore a dieci.

Mosca non ha commentato immediatamente l’accaduto ma ha accusato di doppiezza i Paesi europei che fanno parte dell’Alleanza perché, da un lato, prendono parte alle sanzioni e, dall’altro, ufficialmente si esprimono a favore della ripresa dei colloqui tra Russia e NATO.

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