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Il Giappone non esclude di colpire preventivamente le basi nemiche

A seguito dei numerosi lanci di missili di ogni genere eseguiti nel mese di gennaio dalla Corea del Nord e della crescente attività aeronavale cinese nello Stretto di Formosa e nel Mar del Giappone, a Tokyo il dibattito sui limiti e sulle capacità di autodifesa si è “infiammato”.

Come è noto, al Giappone, al termine della II Guerra Mondiale, è stata imposta dalle Potenze Vincitrici una Costituzione particolarmente stringente in tema di Difesa, riconoscendo solo la capacità di autodifesa.

Sull’interpretazione dei vincoli e delle possibilità (remote) concesse dal principio di autodifesa per decenni si è basata la politica difensiva giapponese. Dalla ricostruzione post bellica sino al crollo dell’Unione Sovietica, il Giappone ha adottato una politica di Difesa totalmente restrittiva che concedeva pochi margini alle Forze di Auto Difesa che erano improntate alla difesa delle isole del arcipelago, alla sorveglianza e mantenimento delle linee di comunicazione marittima e stretta sicurezza dello spazio aereo nazionale.

Classe Izumo (cacciatorpediniere) - Wikipedia

Un primo strappo alle regole fin lì osservate si ebbe nel 1990-91 allorquando l’Iraq di Saddam Hussein, terminata la sanguinosa guerra con l’Iran dell’Ayatollah Khomeini, decise di invadere l’emirato del Kuwait scatenando immediatamente la reazione internazionale e caso più unico che raro anche delle Nazioni Unite. In quel contesto Tokyo, che aveva e che ha tutt’ora nell’area del Golfo Persico interessi strategici per i prodotti petroliferi e per i commerci internazionali, decise di inviare proprie navi sia pure con funzioni di supporto e per eliminare le mine navali che gli Iracheni avevano rilasciato per impedire eventuali sbarchi alle forze alleate.

Ma se la missione militare nelle acque del Golfo Persico poteva sembrare estemporanea e fine a sé stessa, nel corso degli anni Novanta si sono innescati due fattori che hanno cambiato radicalmente il quadro della situazione nel Est dell’Asia; crollata l’Unione Sovietica e con la Russia che è rimasta “in letargo” per almeno quindici anni, il “vuoto strategico” creatosi è stato rapidamente colmato dall’ascesa della Corea del Nord quale Potenza missilistica in grado di sviluppare armi di distruzione di massa e dallo sbocciare della Cina che, da Potenza continentale regionale, aspira ad assumere un livello mondiale. Se per la Corea del Nord rimasta legata agli schemi comunisti più retrogradi, considerati perfino sorpassati dal defunto Partito Comunista sovietico, questo si è tramutato in una costante ricerca di ottenere tecnologie missilistiche sempre più raffinate e capaci di allungare il braccio offensivo ma al prezzo di un Paese ridotto in pessime condizioni, nonostante la tambureggiante propaganda voglia far credere il contrario, per la Cina, invece, ad un impressionante ammodernamento e potenziamento delle Forze Armate (tutt’ora in corso) è corrisposto anche uno svecchiamento della dirigenza di stampo maoista, un’apertura sempre più marcata del Paese all’esterno, l’applicazione di concetti economici occidentali sia pure nell’ambito del controllo e della dottrina dettata dal Partito Comunista Cinese, portando ampie aree del Paese a moderrnizzarsi.

Oltre l’attivismo nord coreano (ma anche sud coreano non troppo apprezzato a Tokyo in verità) e l’espansione economica-militare cinese apparentemente illimitata, per il Giappone all’Estero si sono aperte altre questioni sempre comunque interconnesse alla vita economica dell’arcipelago, come il crescente fenomeno della pirateria marittima nel Sud Est Asiatico e nelle acque del Corno d’Africa e Mar Rosso che ha spinto il Governo Giapponese ad inviare navi militari e della Guardia Costiera in quei bacini per garantire la libertà di navigazione, sorveglianza e contrasto alle attività dei novelli bucanieri.

Inoltre, Tokyo si è unita indirettamente alla Coalizione che garantisce la libertà di navigazione nelle acque del Golfo Persico, nella cui area si registrano attacchi a petroliere ed ha aperto una sua base militare a Gibuti, mettendo piede nel Continente Africano in un’area dove sono presenti le principali Potenze con proprie basi.

Tutto questo per il Giappone ha rappresentato e rappresenta una sfida da affrontare; nonostante le aperture della Corea del Sud e degli Stati Uniti, Pyongyang “alza l’asticella” sempre di più nelle trattative sulla Pace e sul disarmo nucleare a fronte della possibile revoca delle sanzioni e dell’elargizione di consistenti aiuti economici, finanziari ed alimentari, con continui lanci di missili balistici a breve, medio, lungo raggio, intercontinentali, cruise e perfino ipersonici.

Tokyo, ovviamente, guarda con crescente timore ed esasperazione questi continui lanci di missili che immancabilmente sorvolano l’arcipelago o finiscono nelle acque di casa.

In più, come precedentemente anticipato, Pechino si fa sempre più minacciosa, non solo nel Mar del Giappone dove sfida apertamente Tokyo nel rivendicare la sovranità di alcune isole assegnate al Giappone al termine della II Guerra Mondiale, ma plasticamente mostra di voler e poter operare nello Stretto di Formosa con ingenti dispositivi aeronavali, ribadendo a chiare lettere in ogni occasione che l’isola di Formosa (Taiwan) le appartiene e che la riunificazione si farà in tempi brevi anche militarmente se necessario.

Per Tokyo la difesa di Taiwan e dello Stretto di Formosa è divenuta questione di sicurezza nazionale perché l’economia giapponese è fortemente interconnessa con quella di Taiwan e nelle acque attorno l’isola passano le principali linee di comunicazione marittima che collegano il Giappone all’Asia, all’Australia, al Medio Oriente, all’Africa ed all’Europa.

PAC 3 JAPAN

Pertanto, per Tokyo la questione della sicurezza delle aree attorno all’arcipelago è divenuta fondamentale ed è iniziata la revisione critica del concetto di autodifesa.

Parte della “nuova” interpretazione del principio di autodifesa si deve al precedente Primo Ministro Shinzo Abe che, sulla scia dei precedenti premier, ha portato a “maturazione” diverse questioni sul tappeto da diversi anni, apparentemente irrisolvibili tra cui il risorgere dell’aviazione navale imbarcata, la capacità di proiettare a distanza task force anfibie sempre per scopi “difensivi”, ed ora la possibilità di colpire anche preventivamente le basi nemiche.

Su quest’ultimo punto si devono registrare le parole pronunciate dal Primo Ministro Kishida e dal Ministro della Difesa Kishi in sede pubblica e parlamentare che, nell’ambito del principio di autodifesa, non escludono la possibilità di eseguire attacchi preventivi, condotti dalle forze di autodifesa giapponesi, quale ultima risorsa per proteggere il Giappone da un imminente attacco missilistico.

Trattasi con ogni evidenza di parole decisamente importanti dal notevole peso politico e strategico che implicano una serie di ulteriori cambiamenti nel modus operandi delle Forze di Autodifesa chiamate ora a pianificare (ed eseguire se necessario) missioni di attacco a medio e lungo raggio per stroncare sul nascere la minaccia missilistica.

Infatti, fino ad ora il Giappone, non volendo dotarsi di armi offensive e di distruzione di massa ritenute contrarie alla Costituzione, ha spinto parecchio per creare un efficiente sistema di difesa antimissile sia in mare sulle unità della JMSD, sia sul lato terrestre, ritenendo che fosse l’unico strumento atto contemporaneamente ad assicurare la difesa del arcipelago e dissuadere le eventuali azioni ostili.

Peraltro in tempi recenti, in sede di revisione, è naufragato il preventivato dispiegamento del sistema AEGIS ASHORE che avrebbe dovuto essere dispiegato in due batterie fisse, collegandosi tra l’altro con la rete di sensori e di effettori della difesa antimissile degli Stati Uniti. Il programma è collassato ufficialmente per motivi di costi ma a Tokyo da tempo si pensava che la difesa antimissile non bastasse più a garantire l’inviolabilità giapponese ed i recenti esperimenti nord coreani condotti con missili apparentemente ipersonici hanno rafforzato questa convinzione.

Questo drastico mutamento di rotta implica che tutte e tre le FF.AA. si dotino di capacità di condurre attacchi preventivi, l’Aeronautica adottando per i velivoli (F-2) oggi operativi e per quelli in distribuzione (F-35A) adeguato munizionamento e sistemi d’arma in grado di colpire con precisione in profondità e a distanza, così come per la Marina sarà necessario imbarcare sulle navi di superficie (e forse anche sui sottomarini) missili da crociera per colpire con precisione a distanza nonché per l’Esercito schierare, oltre i sistemi di difesa antimissile, anche un sistema di “difesa costiera” missilistico per interdire le acque prospicienti l’arcipelago giapponese, al fine di evitare che le navi “ostili” possano eseguire lanci di missili. Tokyo sta spingendo l’acceleratore per sviluppare missili ipersonici per attacchi a medio e lungo raggio di precisione, sia per impiego imbarcato che per impiego terrestre, perché sono considerati gli unici sistemi d’arma in grado di fornire una reale deterrenza missilistica in assenza di armi nucleari.

Insomma, il Giappone per bocca dei massimi rappresentanti governativi sembra ben deciso a non rimanere ancorato ad un’interpretazione restrittiva del principio di autodifesa ma vuole difendersi anche prendendo in considerazione l’ipotesi di attacchi preventivi, ampliando l’area di operazioni delle proprie FF.AA.; una vera e propria rivoluzione “copernicana” si staglia all’Orizzonte in Estremo Oriente.

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