Nel giro di poche ore si è assistito a qualcosa a cui in Occidente non si era abituati; una vera e propria azione militare attentamente studiata ed altrettanto eseguita da parte di “forze speciali” palestinesi ai danni di diversi obiettivi civili e dello stesso Esercito Israeliano in territorio israeliano; queste operazioni hanno inflitto sensibili perdite in termini di uomini e mezzi (carri armati Merkava, veicoli Namer e veicoli ruotati distrutti o catturati) alle unità israeliane evidentemente colte completamente di sorpresa ed incapaci di organizzare una risposta rapida ed incisiva.
Per Israele è stata una pesante disfatta sul piano dell’intelligence perché un’operazione di tale vasta portata non è stata individuata e sventata per tempo ed è più di un campanello di allarme per il livello di addestramento e coordinamento nonché di potenza raggiunto dalle formazioni paramilitari palestinesi che hanno condotto gli attacchi in pieno territorio israeliano; a questo si aggiunge lo stato di prontezza operativo delle forze israeliane colte completamente di sorpresa ed alla sprovvista (complice anche la festività ebraica del sabato e quelle recenti dello Yom Kippur), problematiche che, insieme alle pesanti responsabilità politiche di quanto avvenuto, dovranno essere oggetto di accurata ed approfondita analisi per l’assunzione dei necessari correttivi.
Allo stato attuale, rimane inspiegabile come Hamas abbia potuto ricostruire e potenziare il suo arsenale, nonostante la stretta (a questo punto non da considerarsi più tale) sorveglianza dell’intelligence israeliana (teoricamente anche da quella egiziana che controlla i valichi nel Sinai), e come le difese dei valichi e della recinzione di confine, considerate altamente sofisticate, siano state superate con estrema facilità in più punti da forze leggere che hanno portato caos e distruzione all’interno di diversi insediamenti (almeno ventidue gli obiettivi attaccati); solo i tentativi di infiltrazione dal mare sono stati stroncati dal pronto e deciso intervento delle navi della Marina.
Gli effetti di queste azioni palestinesi su vari obiettivi israeliani a sud, ad ovest ed a nord della “Striscia di Gaza” sono stati quelli di portare il Governo di Tel Aviv a dichiarare il movimento Hamas responsabile di aver trascinato Israele in una nuova guerra; a tal fine, lo Stato Maggiore Israeliano, imposto lo stato di emergenza sul intero territorio nazionale, ha lanciato l’operazione Iron Swords che sembra essere il preambolo di un qualcosa di ben più ampia portata che potrebbe coinvolgere il Libano, la Siria e lo stesso Iran, quest’ultimo additato apertamente dal Ambasciatore israeliano in Russia come il responsabile delle azioni di Hamas.
Da notare la posizione di Mahmoud Abbas tecnicamente Presidente dell’Autorità Palestinese, impossibilitato a tenere sotto controllo Hamas e le altre formazioni, che incita i suoi a difendersi dagli attacchi esterni, nonostante gli ammonimenti del Dipartimento di Stato di Washington che lo ha invitato esplicitamente a prendere i provvedimenti opportuni per riportare la calma a Gaza e dintorni.
Da registrare le posizioni del Qatar, Kuwait, Iraq ed Algeria che dichiarano di ritenere responsabile Israele dell’attuale situazione e quella meno rigida del Concilio della Cooperazione del Golfo che, pur ritenendo Israele responsabile a monte della crisi, invita le parti alla moderazione ed alle trattative.
Gli Stati Uniti hanno immediatamente preso posizione a favore di Israele condannando Hamas ritenendola responsabile degli attacchi terroristici e dichiarandosi pronti a fornire tutti gli aiuti necessari.
La Russia per bocca del Ministro degli Esteri ha invitato le parti alla calma e rilancia l’antico piano che vede la nascita dello Stato Palestinese con capitale a Gerusalemme Est con un sostanziale ritorno ai confini del 1967 prima della Guerra dei Sei Giorni.
Sugli altri fronti caldi, ai confini tra Libano ed Israele ed in Siria sulle alture del Golan, le formazioni di Hezbollah e delle milizie pro Iran sembrano monitorare la situazione ed hanno eseguito alcuni sondaggi immediatamente contrastati dalle forze israeliane che difendono i confini.
In Israele, evidentemente sotto pesantissimo shock, sono stati immediatamente richiamati i riservisti che costituiscono una componente essenziale per l’operatività delle IDF; la questione dei riservisti per mesi è stato al centro del dibattito politico della Knesset (il Parlamento) e dello scontro con il Governo Netanyahu sulla restrizione dei diritti e sul inasprimento dei poteri di polizia, scontro che coinvolge soprattutto il potere giudiziario ed i rapporti con l’esecutivo.
Per la prima volta dal ottobre 1973 (Guerra dello Yom Kippur) le IDF sono state chiamate a contrattaccare sul territorio nazionale, tenendo conto che nelle mani di Hamas e di altre formazioni ad essa alleate sono finiti decine di soldati e di civili usati come ostaggi e pedine di scambio.
Oltre le azioni dei team delle forze speciali di Hamas sono stati lanciati migliaia di razzi dalla Striscia di Gaza; dalle prime stime della Difesa e della Sanità di Tel Aviv risultano almeno duecentocinquanta o trecento morti, tra cui il Colonnello Yonatan Steinberg comandante della Brigata Nahal (fanteria meccanizzata) caduto in combattimento alla testa dei suoi uomini, e circa millecinquecento feriti (in aumento) israeliani mentre il conteggio delle persone finite ostaggio dei palestinesi non è chiaro. Quello che è certo è che le sirene d’allarme sono risuonate più volte su tutto il territorio nazionale comprese le città di Gerusalemme e Tel Aviv, sono stati aperti i rifugi ed il sistema di difesa di punto Iron Dome è entrato più volte in azione ma non è riuscito a fermare tutti gli attacchi che hanno causato morti e feriti in diversi centri abitati tra cui Ashkelon, pesantemente colpita con varie zone prive di energia elettrica. Le strutture ospedaliere israeliane sono sotto pressione per l’alto numero di feriti che abbisognano di interventi e cure mediche di ogni tipo.
Alto anche il numero di vittime tra i Palestinesi che in serata contavano circa duemila tra morti e feriti negli scontri in atto in tutta la Striscia.
Le dichiarazioni del premier Benjamin Netanyahu non lasciano spazio ad equivoci; Israele è in guerra e la risposta sarà durissima e mai vista in precedenza; a tal fine, ha dichiarato “il primo obiettivo delle IDF è innanzitutto ripulire il territorio dalle forze nemiche che sono entrate e ripristinare la sicurezza e la calma negli insediamenti che sono stati attaccati, il secondo obiettivo, allo stesso tempo, è esigere un prezzo elevato dal nemico, anche nella Striscia di Gaza mentre il terzo obiettivo è fortificare altre aree in modo che nessuno si unisca erroneamente a questa guerra” (quest’ultimo è un chiaro messaggio inviato ad Hezbollah, Siria ed Iran dal astenersi dal intervenire).
Sul piano politico il premier Benjamin Netanyahu in evidente difficoltà ha proposto ai partiti di opposizione Yesh Atid ed Unità Nazionale di entrare in un governo di emergenza dopo il devastante attacco a sorpresa, proposta non rifiutata ma sottoposta a condizioni da parte dei leader di questi partiti.
Sul fronte militare, l’Aeronautica Israeliana sta appoggiando le Forze terrestri nelle operazioni di contrasto alle formazioni infiltratesi e sta pesantemente colpendo obiettivi a Gaza e dintorni, individuati dall’intelligence come posti comando ed operativi di Hamas e delle altre formazioni combattenti..
Le Ferrovie Israeliane hanno annunciato che, in coordinamento con l’IDF, gestiranno treni speciali da nord a sud per trasportare i soldati dell’IDF, a seconda delle esigenze e della domanda ed hanno annunciato che, fino a nuovo ordine, sono sospese le attività nelle stazioni di Ofakim, Nitivot e Sderot.
Le principali compagnie aeree hanno sospeso i voli da e per Tel Aviv bersagliata dai razzi lanciati dalla Striscia di Gaza.
Ovviamente, la situazione è fluida e dovrà essere tenuta sotto costante osservazione ed aggiornata.