Da giorni non si fa altro che parlare di quello che sta succedendo in Medio Oriente, specialmente nell’area della Striscia di Gaza e di Gerusalemme. A prescindere dalle ragioni geopolitiche e religiose che hanno portato allo scoppio degli scontri tra le due fazioni, nel teatro di guerra è emerso con prepotenza l’utilizzo del sistema di difesa aerea antimissilistica israeliano denominato Iron Dome. Un nome, una garanzia, è quello che viene da pensare immediatamente.
Di cosa si tratta nel dettaglio?
Come precedentemente affermato, si tratta di un “air defence system”, sviluppato dalla Rafael Advance Defence System e della Israel Aereospace Industries. Il sistema è stato progettato con il fine di intercettare ed annientare missili di corto raggio e granate d’artiglieria lanciate da una distanza che va dai 4 sino ai 70 km, al fine di proteggere le aree popolate di Israele, tutelando la popolazione civile. Lo stato israeliano vorrebbe difatti, con lo scopo di avere una tutela maggiore, allungare il raggio d’azione, portandolo da 70 km massimo sino a 250. L’Iron Dome è entrato in funzione per la prima volta 10 anni fa, nel 2011, vicino a Beersheba. Il 7 aprile del medesimo anno è avvenuto il battesimo del fuoco, avendo intercettato un BM-21 Grad proveniente da Gaza, adempiendo al suo compito di progettazione. Nel 2014 è stato affermato che il grado di protezione fornita da questo sistema è pari al 90% e che sono stati abbattuti ben più di 1200 missili. Interessante è il fatto che tale sistema verrà futuramente impiegato anche sulle navi corvette israeliane, utilizzate per difendere le piattaforme di estrazione offshore. Bisogna inoltre ricordare che l’Iron Dome fa parte di un sistema multilivello sviluppato col fine di difendere Israele non solo dai colpi di mortaio, ma addirittura dai missili balistici intercontinentali.
La sua storia
A partire dagli anni ’90, a causa dei lanci di razzi da parte di Hezbollah dal Libano verso aree popolate di Israele, si materializzò la necessità di fabbricare un sistema di difesa al riguardo. Nonostante gli Stati Uniti fossero alquanto pessimisti riguardo tale idea (“doomed to fail”, destinata a fallire), lo stato ebraico procede e la persona fondamentale per lo sviluppo di questo progetto è definita dal Generale di Brigata Daniel Gold, a capo del reparto di Ricerca e Sviluppo dell’IDF (Forze di Difesa Israeliane). Il militare di alto livello si occupa di persuadere politici chiave al fine di supportare il progetto, cercando di assicurarne il finanziamento. Infatti, durante la Seconda Guerra Libanese (2006), vengono sparati circa 4000 missili da parte di Hezbollah che creano parecchi problemi alla città di Haifa, nel nord del paese, uccidendo più di 400 israeliani. Inoltre, nel sud della nazione, più di 8000 proiettili erano stati sparati (si reputa 4mila di mortaio e 4mila missili) da parte di Hamas, verso città israeliane, minandone chiaramente la sicurezza. È proprio nel 2007 che Amir Peretz, l’allora ministro della difesa, decide di selezionare il progetto Iron Dome, finanziandone lo sviluppo di ben 210 milioni di dollari.
Per quello che concerne l’etimologia invece, inizialmente si era pensato al nome “Tamir”, ossia un acronimo ebraico che significava “missile intercettore”. Il sistema venne poi invece definito “Iron Dome”, anche perché il nome iniziale “Golden Dome” pareva un po’ troppo vistoso.
Specifiche
A livello di componentistica, le parti principali sono tre:
- Rilevamento e tracciamento radar: costruito dalla Elta, una compagnia della difesa israeliana nonché sussidiaria della “Israeli Aereospace Industries” e dall’IDF
- Battle Management e controllo d’arma: fornito dalla mPrest System per la Rafael
- Unità di lancio missilistico: l’unità di lancio dei missili Tamir è equipaggiata con molteplici sensori elettro – ottici e diversi “timoni” (steering fins), con lo scopo di essere dotato di estrema manovrabilità. La tipica batteria Iron Dome è fornita di 3 / 4 lanciatori, dei quali cadauno ha sui 20 missili.
Interessante nota d’osservazione è legata al costo, ovvero 50 milioni di dollari per batteria, 40mila dollari a missile. Per quello che concerne invece la copertura, si afferma che l’Iron Dome dispiegato possa coprire un totale di un’area di 150 metri quadrati.
Finanziamento ed operatività passata e presente
Nel lontano 2010, il presidente americano Barack Obama, tramite la Camera dei Rappresentati riusciva (riuscì?) a finanziare il progetto con ben 205 milioni di dollari. Il nome della dichiarazione era infatti il “United States-Israel Rocket and Missile Defense Cooperation and Support Act”, sponsorizzato dal rappresentante della Virginia, il democratico Glenn C. Nye. Lo scopo di questo finanziamento, oltre a essere quello di tenere sempre molto saldi i legami con l’alleato nel Medio Oriente, è stato anche quello di permettere agli US di poter accedere a questo tipo di tecnologia militare. Infatti, dal 2014 la Raytheon, un’azienda statunitense attiva nel settore della difesa, si occuperà della coproduzione a livello di componentistica dell’Iron Dome.
A livello invece di impiego operativo, l’Iron Dome è stato utilizzato a partire dal 2011 nei confronti dell’Insurrezione del Nord del Sinai, durante l’operazione “Pillar of Defence” e nel 2014, per quello che riguardava l’operazione “Protective Edge”. Infine, è tornato in prima pagina quest’anno, nel 2021, durante gli scontri di Gaza.
Ipotesi future
Come già accennato precedentemente, l’impiego a livello marittimo presenta una sfida interessante. A livello invece di acquirenti, l’Azerbaijan, la Romania, l’India si sono dimostrati interessati nell’acquisizione di tale sistema d’arma. Ipotetici interessati potrebbero anche essere la NATO e la Corea del Sud. Gli Stati Uniti hanno ricevuto la prima batteria a settembre 2020 seguita dalla seconda a gennaio 2021.
Certamente, emerge chiaro come Israele abbia potuto imparare molto dalla sua posizione geostrategica, diventando un leader dal punto di vista della difesa missilistica. E’ altresì interessante approfondire lo studio comparando l’Iron Dome con le ultime versioni del Patriot ed anche l’S-400 ed il futuro S-500 (attualmente in fase di sviluppo) di sviluppo russo.
D’altronde, come si suol dire, “si vis pacem, para bellum”.