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La politica estera di Erdogan tra pragmatismo e macchiavellismo

L’avanzata turca in Siria è figlia dell’azione diplomatica e militare portata avanti negli ultimi anni da Erdogan. Un azione costruita con estrema calma e pazienza che è stata condotta su tre livelli: fronte interno, fronte siriano è fronte internazionale.

Fronte interno

A livello interno, Erdogan ha fatto crescere il suo consenso, eliminando gli oppositori nella stampa e nell’esercito. Kemalisti, Guleinisti, nazionalisti e comunisti sono stati sistematicamente eliminati negli ultimi anni, rendendo la stampa e le forze armate strumenti dell’AKP. Erdogan ha fatto propria la retorica nazionalista, infervorando le piazze e presentandosi come il grande riformatore Salvatore della Turchia. Nel farlo, non si è fatto scrupoli ad attingere tanto alla componente religiosa islamista (fondamentale per creare consenso nelle aree periferiche del paese) tanto quanto alla componente kemalista e riformista (costruendo così un solido consenso nelle città). Ha creato così l’immagine di un leader che sa conciliare passato, presente e futuro. Il leader di una nazione occidentale nella forma e nell’immagine, ma turca ed islamica nella sostanza.

Il ruolo dei Curdi

I curdi hanno avuto un ruolo importante in questo processo; Erdogan ha avuto modo di proporre ai turchi quel nemico interno fondamentale per creare uno stato di minaccia costante ed alimentare il fuoco del nazionalismo turco. Non solo, la lotta al PKK (partito dei lavoratori curdi in Turchia) ha dato modo di dare spinta ulteriore alle azioni militari nel nord della Siria e dell’Iraq contro i partiti gemelli curdi attivi nel Kurdistsn iracheno e siriano. In tal modo, l’azione militare turca in Siria ed Iraq non è vista solo come un mera azione di espansionismo ma è posta agli occhi dei turchi alla stregua di una questione di sopravvivenza laddove, nell’ottica del nazionalismo dell’AKP, la sicurezza dello stato turco dipende dallo sradicamento dei movimenti per il Kurdistan autonomo.

Fronte internazionale


A livello internazionale Erdogan ha seguito (e sta seguendo) la politica del “peso determinante” (secondo Grandiana memoria), ha creato una rete di legami politico-militari che lo hanno messo in una posizione d’intoccabilità. Grazie alla NATO si è parato le spalle con l’Occidente mentre stringeva accordi con la Russia di Putin e sfruttava l’azione anti circa per crearsi garanzie con l’Iran.

Il fronte siriano


Sul fronte siriano invece ha lavorato gradualmente, ha sostenuto e finanziato le diverse fazioni in lotta in Siria preparando gradualmente la strada all’intervento militare turco. L’esercito di Ankara ha gradualmente preso posizioni nell’entroterra siriano, ha sfruttato le sconfitte subite dai ribelli contro i lealisti ed i russi per attrarre a se numerose sigle della galassia delle forze d’opposizione. Oltre alle milizie turcomanne attive in Siria (con gruppi irredentisti e nazionalisti molto potenti come i Lupi Grigi), ha attirato anche miliziani provenienti da gruppi islamisti e jhiadisti che ora agiscono in supporto dei militari di Ankara.

Complessi sono stati i rapporti con gruppi come ISIS ed Al Nusra (Al Qaeda in Siria). Se a Kobane l’esercito di Ankara ha bloccato i rinforzi curdi del PKK che cercavano di soccorrere le YPG/YPJ curde impegnate contro l’ISIS, in scenari come Al Bab i turchi sono giunti a collaborare attivamente con russi e statunitensi per combattere contro le Forze dello Stato Islamico.

I rapporti con Daesh

Del resto, Daesh ha compiuto diversi attentati in territorio turco ed ha sempre bollato il governo di Ankara come un “governo apostata”. Questo ha fatto il gioco di Erdogan che ha potuto presentare il suo intervento militare in Siria come un azione contro Isis ed ha creato l’immagine di una Turchia quale nazione musulmana ma moderna che lotta contro gli estremisti.

Ora l’intervento turco in Siria pare appoggiarsi a questi gruppi islamisti, oltre 10 mila miliziani islamisti ( dell’ISIS, al qaeda ed altre sigle) sono rinchiusi nelle carceri del nord del paese sotto controllo di curdi o Siriani; chiaramente, si punterà subito a liberarli per avere accesso a Nuove bocche da fuoco (per giunta si parla di combattenti veterani che non vedono l’ora di uscire dalla cella per imbracciare un AK47). I gruppi islamisti potrebbero ritrovare coraggio e sfruttare l’intervento di Ankara per tornare sulla ribalta.

Le debolezze di Erdogan

Forse alla lunga la politica estera di Erdogan presenterà una debolezza. Il mero principio di territorialità su cui si muove Ankara in Siria è un principio ormai vetusto tipico del ventesimo secolo. Nel mondo odierno, non basta avere il controllo politico militare su un territorio per accaparrare diritti su di esso. Erdogan non si sta creando una bella immagine agli occhi del mondo e questo alla lunga potrebbe pagarla a caro prezzo nel giorno in cui verranno meno quelle garanzie che ha costruito con la sua diplomazia. Basti vedere il passato, con le dittature militari anti comuniste in sud america fatte cadere da Washington poiché non c’era più un comunismo da combattere. Ma questo solo il tempo ce lo potrà dire.

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