La Turchia intende attivare un paio di basi militari in Siria per addestrare le nuove Forze Armate siriane, come riportato dal quotidiano Turkiye il 3 febbraio.

Queste basi nelle intenzioni turche faciliteranno l’addestramento dell’Esercito siriano e dei piloti, contribuendo alla formazione di un’Aeronautica militare praticamente annientata dopo i pesanti raid israeliani degli ultimi mesi.
Si prevede che in tal senso presto sarà firmato un accordo di difesa congiunta tra Turchia e Siria, che include disposizioni per il supporto turco alla Siria in caso di minacce improvvise.
Il punto più interessante ma anche potenzialmente esplosivo del accordo per gli equilibri instabili della regione prevede lo schieramento di 50 caccia bombardieri F-16 turchi nelle nuove basi fino a quando l’Aeronautica militare siriana non sarà completamente sviluppata, con l’obiettivo di salvaguardare la sovranità del Paese.
C’è da dire che la Turchia, allorquando decise di intervenire in Libia, non inviò mai i suoi caccia bombardieri nemmeno nei giorni più bui per l’alleato Governo di Tripoli, limitandosi a schierare gli UCAV TB2, ma in Siria la situazione è totalmente diversa ed Ankara dovrà ben soppesare le mosse, essendo la possibilità di uno scontro aperto più che dietro l’angolo, anche per un semplice malinteso, con le forze israeliane e con quelle statunitensi che operano nella regione.
Ovviamente, questa possibilità è vista con estrema diffidenza da Israele che ha conquistato la supremazia aerea e non solo (se ce ne fosse stata la necessità di ribadirlo) sull’intera regione e potrebbe non essere “digerita” nemmeno dagli Stati Uniti; ad ore è previsto l’incontro a Washington tra il Presidente Trump ed il Premier israeliano Netanyahu e la questione siriana con annesse velleità turche sarà prevedibilmente oggetto di colloqui tra i due storici alleati e quel “Cambieremo la mappa della regione” pronunciato dal Premier israeliano prima della partenza alla volta della capitale nord americana lascia presagire nuove turbolenze in arrivo.
Oltre la presenza militare stabile turca il nuovo Governo di Damasco ha richiesto ad Ankara la fornitura di UAS, radar e sistemi di guerra elettronica da schierare nel Golan per sorvegliare le attività israeliane nell’area. Bisognerà capire se la Turchia darà seguito alle richieste siriane accendendo un pericoloso possibile nuovo conflitto in quell’area, perché Israele ha già messo in chiaro che non accetterà il ripristino delle condizioni precedenti che hanno creato l’instabilità e l’insicurezza dell’Alta Galilea e del Golan occupato nel 1974 (aree quest’ultime ora allargate “temporaneamente” dalle IDF che stanno organizzando avamposti come confermano le immagini satellitari), dichiarando decaduti gli accordi informali intervenuti con Hafiz al-Asad, padre di Bashar.
In aggiunta alla partnership militare il neo presidente siriano Ahmad al-Sharaa, già al vertice di Hayat Tahrir al-Sham, intende stipulare accordi con il Governo di Ankara relativamente aspetti economici e di supporto alla popolazione civile.
Per Ankara il disfacimento del regime di Bashar Al-Assad e la cacciata dei Russi dalle basi siriane ha aperto la strada per ritornare ad influenzare la regione da cui era stata cacciata nel 1918 con la caduta del Impero Ottomano alla conclusione della I Guerra Mondiale; di certo a Tel Aviv e a Teheran, altra grande sconfitta della recente guerra medio orientale, hanno ben altri progetti per ragioni opposte (che peraltro in modo assai ironico potrebbero persino convergere) e non lasceranno facilmente la strada libera alla realizzazione dei piani di Ankara, così come Washington che non ha alcuna intenzione di smobilitare le basi lungo l’Eufrate siriano, con la Turchia che ha apertamente rifiutato e rigettato il piano di Trump per la Palestina e che continua a martellare la galassia dei Curdi tentando di non colpire quelli definiti partner degli Statunitensi per non irritarli troppo.
Insomma, la polvere del recente conflitto non si è ancora posata e nuovi nubi si iniziano ad addensare sull’area e quelle bandiere ottomane apparse sugli spalti delle mura di Aleppo nei giorni della liberazione dal regime di Assad sono solo i sintomi di una ricerca di assetti in apparenza dimenticati con conseguenze ed effetti imprevedibili tra Levante del Mediterraneo e Medio Oriente fino al Mar Rosso.
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