Ho avuto la fortuna di ottenere prima le ali da parà e, successivamente, quelle da pilota militare su aerei cargo; pertanto, ho visto accendere la luce verde e ho provveduto ad accenderla.
Premetto che in quasi tutti i contesti moderni l’aviolancio di massa di paracadutisti non ha più senso nè tatticamente nè strategicamente. Un lancio di massa si effettua solo le informazioni di intelligence indichino una presenza nulla o molto blanda di una possibile reazione nemica, informazioni che oggi sono corroborate dagli assetti ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaisance) che aggiornano la situazione in tempo reale sia ai comandi a terra, sia agli aeromobili in volo tramite datalink. Si lavora meglio su infiltrazioni di reparti speciali con tecniche di caduta libera o con infiltrazioni in profondità con elicotteri.
Peraltro, bisogna anche notare che quasi tutti Paesi hanno dei reparti paracadutisti e che l’addestramento dei vettori usati e del personale preposto è molto impegnativo.
Ma se non ha senso perché allora si impiegano tutte queste risorse? Molto semplice: i reparti paracadutisti sono una sorta di élite nella fanteria ed è un ottimo bacino da cui attingere per formare i reparti speciali.
Per aviolanciare c’è bisogno di un vettore e di personale che molto spesso è fornito dall’esercito, il primo può essere un velivolo cargo militare in forza all’aeronautica o un elicottero di grandi dimensioni in forza all’aviazione dell’esercito. Non essendo un pilota di elicottero parlerò solo di cargo militari.
La tecnica è quella della fune di vincolo, abbastanza semplice e decisamente efficace. Il paracadutista è infatti “vincolato” da una fune che ad una estremità è attaccata all’aereo mentre all’altra è collegata al paracadute. Uscendo dal velivolo, la fune va in tiro e apre la calotta del paracadute liberando la discesa, mentre la fune rimane agganciata all’aereo e sarà recuperata a lancio effettuato.
Il parà si trova quindi appeso al paracadute estratto; esegue un veloce controllo che la calotta sia tutta aperta e gonfia e che le funicelle non siano arrotolate fra di loro. Inoltre, controlla intorno a se che ci siano le giuste separazioni verticali ed orizzontali con gli altri paracadutisti ed, infine, rilascia l’equipaggiamento personale che rimarrà appeso sotto le gambe. Avvicinandosi al terreno l’equipaggiamento toccherà per primo poi sopraggiungerà il parà che con le tecniche di capovolta provate e riprovate in addestramento effettuerà l’atterraggio. Appena effettuata la capovolta, il parà si rialza subito per controllare ed eventualmente sgonfiare la calotta, conservarla al meglio (o nasconderla in caso di lancio operativo in territorio ostile) e provvede a recuperare l’equipaggiamento personale, tentando immediatamente di ricongiungersi con la propria unità, di notte o di giorno con le difficoltà del caso.
Parliamo ora dell’aereo. La pianificazione della missione è identica a quella di un bombardiere in bassa quota, ma si pianifica all’inverso, ovvero dal lancio risalendo indietro fino all’ingresso in area ostile (Combat Entry Point), le tratte tra i waypoints (punti di virata) sono a “zig zag” anche casuale per non dare al nemico mai la sensazione della vera rotta in cui si procede. Ovviamente, possiamo avere tratte che potrebbero essere “contaminate” da pericoli noti come radar di ricerca o batterie contraeree. Pertanto, le quote e le velocità possono variare in base alle necessità. Le quote in genere sono attorno ai 250ft ground (75 mt dal suolo) e le velocità, a seconda del velivolo, variano dai 210 nodi (kias) ai 300 nodi.
Si volano tutti i segmenti fino ad arrivare all’Initial Point (IP); qui, al contrario dei jet che accelerano per l’attacco, i cargo decelerano e salgono fino alla quota di lancio che è di 1300ft ground (circa 400mt dal suolo). In teoria, si potrebbe lanciare anche da 700ft ma sarebbero rischi inutili; più sei basso e meno ti vedono, vero, ma il paracadutista ha meno tempo per gestirsi la discesa con il carico e l’equipaggiamento personale.
Si decelera per aprire le porte e/o la rampa. Le paratroop doors sono porte disposte in genere nella parte posteriore della fusoliera (tranne i russi che lanciano d’avanti ai motori anche se ben più in basso!) e sono dotate di un predellino per facilitare l’uscita ed alcune volte di una protezione estraibile sulla fiancata per smorzare l’impatto con l’aria.
Le velocità per quanto basse per l’aereo sono sempre elevate per un uomo, parliamo di 130 nodi che sono circa 250km/h.
L’aereo, per mantenere la velocità stabile, deve configurare i flaps e questo aumenta in maniera esponenziale le turbolenze. Avere un’aereo che crea molte turbolenze (specialmente ad elica) causa problemi all’apertura delle calotte e/o fa convergere i paracadutisti nelle stesse traiettorie causando pericolosi impatti fra questi che hanno limitate capacità di manovra con i paracadute a cupola tondeggiante.
Pertanto, alcuni velivoli lanciano più veloci (richiedendo meno flaps) ma creano un altro problema. Infatti, i paracadutisti addestrati escono dalle porte uno al secondo. A 250km/h l’aereo vola circa 70 metri al secondo per cui, tra uno e l’altro, vi è una separazione teorica di 70 metri. In genere si lanciano dai 20 ai 40 parà per porta per cui, nel caso di 40 paracadutisti, tra il primo e l’ultimo ci sono 2800 metri di separazione. Il che genera due ulteriori problemi operativi: possibilità di non trovare una “striscia” di 2800 metri per lanciare e/o, una volta a terra, quei ragazzi appena lanciati devono farsi quasi 3 km solo per raggrupparsi.
Quindi, si cerca di lanciare alle velocità più basse possibili per lasciarli raggruppati all’atterraggio. Alcuni velivoli hanno quattro linee di lancio, due dalle paratroop doors laterali e due dalle rampe; totale di 4 linee da 20, 30 o 40 paracadutisti, che arrivano fino ad un massimo di 160 paracadutisti in 40 secondi.
Appena l’ultimo parà è fuori, si provvede ad eseguire un veloce check per vedere che nessuno sia rimasto appeso (può succedere che la fune dalla parte del paracadute non si stacchi) e si procede al recupero delle funi per richiudere porte e rampe. Nello stesso tempo l’aereo si lancia in discesa per tornare ai 250ft, accelerando e tornando a volare a “zig zag” all’uscita dall’area operazioni (Combat Exit Point).
Al momento del lancio l’aereo è esposto e lento, un bersaglio facile in caso nell’area ci fossero armi contraeree. Per questo, talvolta, pochi secondi prima del lancio si coordinano attacchi wild weasel e/o CAS (Close Air Support) per “ripulire l’area” e concedere quei 20/40 secondi necessari per eseguire il lancio.
Ovviamente il lancio descritto è single ship (un aereo); se dovesse essere necessario parteciperebbero all’operazione di lancio molti aerei, anche di differenti taglie, con separazioni laterali, orizzontali e verticali minime prestabilite per lanciare uomini e materiali. Uno spettacolo unico che consiglio di cercare su YouTube come “mass attack” o “mass airdrop”.
Questo tipo di lanci di massa devono essere coordinati ben prima; infatti, le separazioni devono essere tenute al metro e la sincronizzazione è fondamentale per esporre il meno possibile gli aerei ed i paracadutisti. I velivoli giungerebbero “single ship” sull’area di lancio da diverse direzioni ma tutti convergenti su quell’unica strisciata utile rilasciando uomini, materiali e veicoli.
Il coordinamento è fondamentale, sia all’interno del velivolo, sia tra velivoli diversi che difficilmente comunicherebbero tra di loro via radio, dovendo osservare il silenzio radio per ovvi motivi di sicurezza.
All’interno del singolo velivolo, i piloti conducono la navigazione e la condotta del velivolo; ove necessario eseguono manovre evasive e provvedono ad azionare le contromisure e, all’avvicinarsi di punti prestabiliti, si cominciano a preparare i paracadutisti che devono predisporsi per il lancio rispettando tutte le procedure di sicurezza. I Direttori Lancio controllano tutti e chiamano a gran voce le varie fasi; ogni paracadutista controlla il suo vicino e si arriva al momento di agganciare la fune di vincolo al cavo d’acciaio che è teso sopra le loro teste. I Load Master, in contatto interfonico con i piloti, preparano l’area di uscita, aprono le porte e le configurano.
Il primo paracadutista alla porta procede con la luce rossa, si posiziona sull’uscita, una sua esitazione e tutti quelli dietro sarebbero svantaggiati. Alla luce verde, accompagnati da grandi pacche sulle spalle, i parà procedono rispettando la fila ed escono uno al secondo come detto. Ognuno controlla l’altro per ridurre al minimo gli errori. Una fune che passa nel posto sbagliato, un’equipaggiamento messo male, una spina di sicurezza non rimossa potrebbero essere fatali. Lo spazio è ridotto, gli ingombri sono tanti, essere veloci e precisi è fondamentale.
Ma è uno dei più grandi spettacoli militari.
In Italia il binomio 46^ Brigata Aerea e Brigata Paracadutisti Folgore, nella zona di Pisa, è radicato nel tempo e l’una appartiene all’altra.
Nel periodo del mio servizio alla 46^ solo una volta si arrivò vicini ad effettuare un aviolancio reale, ma probabilmente la politica non se la sentì e tutto fu annullato. Era il 1999 e si seppe poi che un giovane Ufficiale britannico dei paracadutisti, poi divenuto ben noto cantante, evitò un possibile conflitto tra Russi e NATO (in quel caso rappresentata appunto dal Royal Parachute Regiment).
Foto articolo: Aeronautica Militare Italiana – Foto di copertina: Ares Osservatorio Difesa