Nel cuore della notte la crisi in Medio Oriente ha conosciuto un nuovo picco con il lancio di missili iraniani su basi statunitensi in Iraq.
Preavvisi che la situazione sarebbe precipitata sono stati la sospensione dei voli da e per l’Iraq di Egyptair e la rinuncia egiziana a mediare tra Israele ed Hamas dopo che quest’ultima ha pubblicamente dichiarato vendetta per l’uccisione del Gen. Qassem Soleimani.
Ma andiamo con ordine. La crisi tra Stati Uniti ed Iran è stata innescata alla fine di dicembre a seguito del lancio di razzi da parte di una milizia sciita filo iraniana su una base statunitense al confine tra Siria ed Iraq.
Al lancio è seguita la rappresaglia statunitense portata con cacciabombardieri F-15E che hanno duramente colpito gli autori dell’azione. A seguito di un comunicato ufficiale iraniano nel corso del raid statunitense avrebbero perso la vita quindici tra miliziani ed appartenenti al corpo dei Pasdaran.
Contemporaneamente a questi fatti, in Iraq precipitava la situazione politica, con il Governo messo sotto pressione dall’ondata popolare di protesta, sul quale soffiava fortissimo Teheran. Infatti, il Paese, uscito in gravi condizioni, dalla guerra interna contro l’ISIS, si è trovato ad affrontare problemi gravi nella ricostruzione e, soprattutto, nella convivenza tra l’anima sciita maggioritaria e l’anima sunnita minoritaria. Problemi che erano stati “messi da parte” per le contingenze belliche e che sono stati accentuati dalla forte presenza iraniana nel Paese.
Le autorità centrali di Baghdad hanno tentato di contenere le rivolte popolari ma è stato un crescendo di violenze, sfociate nei ripetuti attacchi all’ambasciata statunitense di Baghdad. Nei confronti degli Stati Uniti si sono dirette le proteste, accusati di essere un Paese occupante. Ovviamente, dietro questo picco di violenze gli Stati Uniti vedevano la mano di Teheran, ed avvertivano pubblicamente che non sarebbe stata tollerato alcun attacco diretto a mettere in serio pericolo l’incolumità del personale e dei cittadini statunitensi.
Peraltro, Washington, a seguito del primo tentativo di assalto alla propria ambasciata, aveva sgomberato il personale non necessario ed aumentato la sorveglianza, inviando di gran carriera un nucleo di marines a protezione della sede diplomatica. Infatti, le autorità statunitensi avevano avuto sentore che le forze di sicurezza irachene non sarebbero intervenute una seconda volta a contenere la violenta protesta. Così è stato. A seguito del secondo pesante attacco, Washington ha deciso di inviare un segnale fortissimo a Teheran, colpendo il simbolo delle operazioni militari, paramilitari e terroristiche iraniane all’Estero, il Generale Soleimani capo dell’unità speciale al Qudss, l’unità dei Guardiani della Rivoluzione largamente impiegata in Libano, Siria, Iraq e Yemen.
Soleimani si trovava a Baghdad, e non è una casualità, considerata la contemporaneità dei fatti relativi all’ambasciata. Con lui nel raid sono stati eliminati importanti elementi di spicco della milizia irachena sciita, in primis Abu Mhadi al -Muhandis, ulteriore segnale che bolleva in pentola qualcosa di grosso e di eclatante.
L’uccisione di Soleimani ha creato tensioni altissime in tutto il Medio Oriente; non poteva essere diversamente, vista l’importanza del personaggio, il ruolo da lui rivestito nella gerarchia del potere iraniano.
Le folle oceaniche di Baghdad, Teheran e di altre località iraniane dove si sono tenuti i solenni funerali di Soleimani e dei suoi collaboratori iracheni (altro elemento da tenere in considerazione) sono state il simbolo di una crisi ormai avviata verso uno scontro sempre più aspro tra Washington e Teheran.

L’Ayatollah Ali Khameini, massima autorità iraniana, ha subito invocato la vendetta contro obiettivi statunitensi nella regione. Da parte sua Washington, da un lato ha tentato di abbassare i toni con una serie di telefonate ai leader mussulmani sunniti, i quali, molto preoccupati dalla situazione, hanno tentato di calmare le acque; dall’altro lato, per nulla intimidita dai propositi iraniani di vendetta ha inviato uomini e mezzi della 82nd Airborne Division, mobilitando i reparti di stanza in Europa ed ha rischierato una squadriglia di sei bombardieri Boeing B-52H sulla base di Diego Garcia. Inoltre, il Carrier Strike Group della portaerei Henry Truman è stato posto in stato di allerta

Si è poi aggiunta la vicenda tutta da decifrare del comunicato del 6 gennaio smentito del Brigadiere Generale William H. Seely III, comandante generale della TF-Iraq, peraltro in modo grottesco, del prossimo ritiro delle truppe statunitensi in Iraq, a seguito del voto del Parlamento Iracheno che obbliga il Governo a mandare via le truppe statunitensi e quelle di altri Paesi, considerate come indesiderate.
In tutto ciò si sono alzati i toni tra Trump e Khameini, con il primo che dichiarava di avere una lista di 52 obiettivi iraniani (52 erano gli ostaggi statunitensi a Teheran nel 1978-79) e con il secondo che denunciava l’accordo sul nucleare raggiunto con l’ex Presidente Obama ed annunciava che l’Iran riprendeva il processo di arricchimento dell’uranio senza limitazioni.
Infine, si è concretizzata la rappresaglia iraniana, lanciata con l’operazione “Soleimani Martire”, con il lancio di missili contro le basi statunitensi di Aynal -Asad sita nella provincia occidentale di al-Anbar e di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Ovviamente, gli Iraniani invocano la vittoria con la “completa distruzione” degli obiettivi, indicando di aver ucciso 80 statunitensi e ferendone altri 200. Gli Stati Uniti non confermano tali perdite, ammettendo solo che sono state colpite le due basi, avendo osservato il lancio di 35 missili.
Gli Iracheni, da parte loro, indicano di aver osservato il lancio di 22 ordigni di cui solo 5 avrebbero colpito i bersagli e dichiarano di non aver subito alcuna perdita. Si attende nella mattinata statunitense una dichiarazione ufficiale del Presidente Trump.
Gli iraniani avrebbero impiegato missili balistici Qiam-1 con gittata di 750 km, e Fateh le cui diverse versioni sono capaci di colpire tra i 200 ed i 500 km.
Per quanto riguarda la Coalizione, alcuni Paesi hanno annunciato il ritiro dei propri contingenti; l’Italia ha riposizionato le proprie truppe proprio ad Erbil dove sono protette da bunker corazzati. La Gran Bretagna ha messo in allarme il SAS, inviato una fregata Type 23 ed un’unità di difesa d’area Type 45 nonché ha dislocato a Cipro un aereo da sorveglianza elettronica R1 Sentinel.
In contemporanea all’attacco iraniano è precipitato un aereo ucraino che era in fase di decollo dall’aeroporto internazionale di Teheran con la morte di tutti i passeggeri, circa 175 persone. Le autorità iraniane hanno subito parlato di evento dovuto a guasto tecnico ma iniziano a circolare foto che evidenziano sui resti fori ricollegabili all’uso di armi calibro 20-23 mm.
La situazione è ovviamente in via di evoluzione e saranno dati gli aggiornamenti costanti.
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