Le origini
Le origini dell’Aviazione Navale risalgono agli inizi del XX secolo, grazie all’iniziativa del Sottotenente di Vascello Mario Calderara, vero pioniere del settore, che ricevette lezioni di volo direttamente dal noto aviatore statunitense Wibur Wright allorché questi si recò in visita in Italia. Nel 1910, il Calderara ottenne il brevetto di pilota ed il comando della prima scuola di volo italiana, ubicata presso l’aeroporto di Centocelle, a Roma. Altra figura di primissimo piano in ambito aeronavale, fu quella del Capitano del Genio Navale Alessandro Guidoni artefice, tra l’altro, del progetto delle “Navi Hangar”.

Il 1° giugno del 1913, con Decreto ministeriale, fu ufficialmente costituito il “Servizio Aeronautico della Regia Marina” ed il successivo 20 luglio, con la nomina a Capo di Stato Maggiore della Regia Marina dell’Ammiraglio Paolo Thaon di Revel, padre putativo dell’Aviazione di Marina, il comparto “prese il volo” con la creazione della prima base per idrovolanti realizzata all’Idroscalo di Orbetello. Parallelamente ebbero inizio anche alcune prove per dotare le navi maggiori di idrovolanti imbarcati e, in via sperimentale, furono appositamente modificate la corazzata Dante Alighieri e gli incrociatori corazzati Amalfi e San Marco. Tali positive esperienze convinsero lo Stato Maggiore a trasformare l’incrociatore protetto Elba in “nave appoggio idrovolanti” che iniziò la sua attività nel giugno del 1914.

Gioverà evidenziare che, da queste navi, gli aerei non decollavano come accade oggi, bensì erano soltanto trasportati; allorché l’idrovolante doveva essere impiegato, questi era messo in mare grazie ad una gru dedicata che poi lo riportava a bordo al termine del volo, dopo l’ammaraggio in mare. Solo successivamente fu studiata una sorte di “fionda” che letteralmente “lanciava in volo” l’idrovolante il quale, però, doveva poi essere riportato a bordo sempre con l’ausilio della gru ed a seguito dell’ammaraggio.

(Foto Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto)
Con una legge del 1931, la Forza Aerea della Regia Marina fu posta alle dipendenze della neonata (1923) Regia Aeronautica anche se poi fu necessario la promulgazione di un altro dispositivo di legge nel 1937 con il quale tutti gli aerei militari appartenuti alla Regia Marina vennero passati in forza alla “Arma Azzurra” costituendo la “Aviazione Ausiliaria per la Marina” della Regia Aeronautica.
Il secondo conflitto mondiale ed il dopoguerra
Già durante il corso della seconda Guerra Mondiale venne a maturare l’idea della necessità di dotare la Marina italiana di una “vera” portaerei dotata di ponte di volo continuo; tuttavia, le difficoltà tecniche di portare a compimento unità di questo tipo, sommate alla penuria di materiali ed all’andamento del conflitto, fecero sì che il progetto di realizzare due navi di questo tipo (Aquila e Sparviero) trasformando dei bastimenti già esistenti, non fosse completato in tempo utile.

Fig. 4 – La portaerei italiana Aquila allorquando fu sospesa la sua costruzione (1943).
Il Trattato di Pace impose all’Italia il netto divieto di dotarsi, tra l’altro, di navi portaerei e, pertanto, il dibattito sull’opportunità di dotare la nascente Marina Militare di una autonoma Forza Aerea, fu stroncato alla radice. Ciò nonostante, con una “guerra fredda” sempre più dai toni accesi e l’adesione dell’Italia alla NATO, si crearono i presupposti perché la situazione cambiasse. Nell’ambito del M.D.A.P. (Mutual Defence Assistance Program), nel settembre del 1950 gli Stati Uniti firmarono un accordo con il nostro Governo per cedere all’Italia 24 bombardieri Curtiss S2C-5 Helldiver equipaggiati con strumentazione per la lotta antisom. Contestualmente, fu inviato negli States, presso la scuola di volo della Navy, un primo nucleo Ufficiali di Marina italiani che ritornò in Patria, nell’estate del 1952, con il brevetto di pilota “in tasca”.

Il 19 dicembre di quell’anno giunsero in Italia, all’aeroporto di Napoli Capodichino, i primi due Curtiss ai quali era stata posta la coccarda italiana sottoposta ad un’ancora e, sul timone di coda, il simbolo della Marina Militare, nell’intenzione di ricostituire l’Aviazione Navale. Invece, furono immediatamente presi in carico dalla Aeronautica Militare in virtù della legge del 1937, ancora pienamente valida, ed i brevetti (di volo e di tecnico) conseguiti negli Stati Uniti dal personale della Nostra Marina, non furono riconosciuti validi.
Arrivano gli elicotteri
In quegli anni gli Stati Maggiori delle Marina dei Paesi del blocco occidentale stavano valutando la possibilità dell’uso in ambito navale di un nuovo mezzo aereo, l’elicottero, che poteva operare da terra ma anche su navi non portaerei, purché dotate di un piccolo ponte di volo, e che poteva essere proficuamente utilizzato nella scoperta di sommergibili in navigazione subacquea anche a notevole distanza dalla “nave madre”. In Italia la questione fu subito sposata dai vertici della Marina Militare ma si arenò dinnanzi all’impossibilità “legale” che la Forza Armata potesse avere dei propri mezzi aerei e li gestisse con propri piloti e tecnici. I tempi erano però maturi perché la situazione mutasse e la classe politica accettò questa sorte di “rivoluzione. Fu così che, nell’estate del 1953, a fronte delle positive prove di appontaggio su una improvvisata piattaforma all’uopo realizzata a poppa dell’incrociatore lanciamissili Giuseppe Garibaldi di un elicottero Agusta Bell 47G eseguite con la nave ferma in rada, la Marina Militare ottenne l’autorizzazione per dotarsi di un primo nucleo di queste macchine (tre, poi subito portato a sette) e di inviare presso le scuole dell’Aeronautica Militare del proprio personale per conseguire i necessari brevetti, sia da pilota che da tecnico motorista, quest’ultimo ruolo destinato però ai sottufficiali.

Fig. 6 – Estate 1953; un elicottero AB47G apponta per la prima volta a poppa dell’Incrociatore Giuseppe Garibaldi (Foto Marina Militare).
Nel 1956 fu promulgata la legge che limitava il monopolio dell’Aeronautica Militare ai soli velivoli ad ala fissa con peso superiore ad 1,5 tonn. e, quindi, la Nostra Marina fu implicitamente autorizzata a dotarsi di elicotteri; il 1° agosto di quell’anno fu consegnato il primo AB 47G e, contestualmente, fu costituito ad Augusta il primo nucleo elicotteri della Marina Militare. Nel 1958 furono incorporati nel reparto i primi elicotteri nella versione “J” che presentava una miglioria della prima macchina in quanto poteva avere due diverse configurazioni: una specifica per la ricerca antisom, ed una per attacco ai sommergibili con l’ausilio di un siluro Mk44. Nello stesso periodo furono assegnati al reparto alcuni elicotteri SH-34 che potevano vantare, oltre alla possibilità di utilizzare sonar e lanciare siluri, anche un’avionica migliorata che consentiva loro anche il volo notturno ed una maggiore autonomia.
Dalla fregata portaelicotteri Luigi Rizzi all’incrociatore portaeromobili Giuseppe Garibaldi
Senza volermi dilungarmi oltre nella cronistoria della evoluzione della Aviazione di Marina, non posso esimermi dal segnalare due tappe fondamentali nello sviluppo di questa componente della Nostra Marina. Il riferimento va alla costruzione della prima nave dotata, sin dal suo varo, di un ponte di volo per l’utilizzo di elicotteri, e la promulgazione della legge che ha consentito alla Marina Militare di dotarsi (finalmente) di navi portaerei.

Per quanto attiene la prima nave militare italiana con ponte di volo, la questione assume un notevole valore ed importanza in quanto la fregata Luigi Rizzo (della classe Bergamini), varata nel cantiere di Castellammare di Stabia (NA) il 3 marzo del 1960 e consegnata il 15 dicembre 1961, non solo fu la prima unità italiana ad essere dotata sin dal varo di un ponte di volo per elicotteri leggeri, ma fu anche la prima del suo genere in ambito occidentale. In effetti, inizialmente vi era una certa perplessità tra le varie Marine della NATO a dotarsi di navi con tale caratteristica in quanto avrebbe comportato l’impossibilità di avere artiglierie che puntassero verso poppa dell’Unità ed era stato deciso di limitare l’uso dell’elicottero solo alle navi portaerei già dotate di ponte di volo e prive di artiglieria poppiera. Fu quindi chiesto all’Italia di studiare (e realizzare) un progetto per una fregata che conciliasse le due esigenze (piccolo ponte di volo ed artiglieria a poppa). La sperimentazione andò così bene che, pochi mesi dopo la consegna dell’ultima delle quattro navi costituenti la classe, fu deciso di sbarcare il cannone da 76/62 poppiero onde consentire di allungare il ponte di volo e realizzare un hangar “telescopico” che, allungandosi, consentiva il ricovero pure di un elicottero medio dopo che questi era appontato. Nel giro di poco tempo, la stessa modifica fu apportata anche alle altre navi costituenti la classe.

Fig. 8 – 11 AV-8B Harrier II Plus parcheggiati a centronave ed a poppa dell’Incrociatore Giuseppe Garibaldi (Foto Marina Militare).
L’altra tappa fondamentale nella evoluzione della Aviazione di Marina, è costituita dalla Legge n. 36 del 26 gennaio del 1989 con la quale si autorizzò la Marina Militare a dotarsi anche di velivoli ad ala fissa e, conseguentemente, l’incrociatore portaeromobili Giuseppe Garibaldi, poteva essere classificato come “portaerei leggera”. In virtù di tale legge, nel 1990 fu posto l’ordine per acquisire dalla BAE Systems – McDonnell Douglas (oggi Boeing), 18 macchine del tipo AV-8B Harrier II Plus, due delle quali in versione TAV-8B biposto per addestramento. La consegna dei primi aerei avvenne il 23 agosto del 1991 allorché il Garibaldi si portò nella base dell’US Navy di Norfolk in Virginia. Oggi la situazione materiale si è enormemente evoluta con l’entrata in servizio della portaerei Cavour e, quella prossima del Trieste, sulle quali potrà essere imbarcato anche il nuovo F35B.
Diventare piloti in Marina
Anche l’elemento umano ha subito negli anni una sorte di evoluzione per cui la Marina Militare ha, nel tempo, dovuto prestare sempre maggiore attenzione alla formazione del “suo” personale destinato ad operare in ambito aeronavale. Limitando il presente discorso alla figura del pilota, non corro certo il pericolo di essere smentito se affermo che la figura del “top-gun” resta la principale aspirazione tra i giovani che annualmente entrano nell’Accademia Navale di Livorno. Oggi, in Marina, vi sono due strade che possono consentire di realizzare questo “sogno”. La prima è nell’ambito del Concorso per “Allievi Ufficiali dei Ruoli Normali” che, ogni anno seleziona le future generazioni di Ufficiali di Marina per tutti i Corpi della Forza Armata e per tutte le specializzazioni, incluso i Piloti, la seconda è quelle dei cosiddetti “Ufficiali Piloti di Complemento”, cioè Ufficiali Piloti a tutti gli effetti ma a tempo determinato che, al termine della ferma, possono anche lasciare la Marina Militare. Analizziamo nel dettaglio queste due strade.

Fig. 9 – Un pilota di elicottero della Marian Militare decollato da Nave Garibaldi (Foto Marina Militare).
Ogni anno la Marina Militare, tra gli ultimi giorni di dicembre ed i primi di gennaio, bandisce un concorso per titoli ed esami con il quale recluta i futuri Ufficiali che guideranno la Forza Armate nei decenni a venire. Quest’anno il concorso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 8 gennaio ed il termine ultimo per presentare la domanda online è stato fissato per il 16 febbraio. Tale concorso è aperto a tutti i cittadini italiani, maschi e femmine, con un’età superiore ai 17 anni ed inferiore ai 22, in possesso di un qualsiasi diploma di Scuola Media Superiore (anche se sarà conseguito nel presente anno scolastico), selezionerà 133 concorrenti (di cui 9 per il Corpo Sanitario Militare Marittimo) che andranno poi a costituire la “prima classe” del “Corso Allievi Ufficiali dei Ruoli Normali” della Marina Militare. Tra costoro, 70 faranno parte del Corpo dello “Stato Maggiore” cioè saranno quelli destinati in un futuro a rivestire compiti di comando, via via sempre più apicali, fino a giungere al vertice della Forza Armata. I vari appartenenti a questo Corpo acquisiscono tutti la laurea (triennale e magistrale) in Scienze Marittime e Navali specializzandosi però, in una delle seguenti discipline: Telecomunicazioni, Direzione Tiro, Idrografia, Guerra Anfibia, Incursore, Antisommergibile, MCM (Mine e Contromisure Mine) e … Pilota. La specializzazione viene attribuita in virtù delle prove attitudinali alle quali i Cadetti vengono sottoposti sia in fase di selezione concorsuale, sia nei primi mesi di Accademia nonché degli accertamenti psicofisici. Viene tenuta in debita considerazione anche la cosiddetta “desiderata”, cioè l’auspicio che ogni concorrente esprime all’atto dell’inizio del corso di studi.

Mediamente, sui 60/70 posti nel Corpo dello Stato Maggiore che annualmente sono assegnati, circa il 60% esprime il “desiderio” di poter diventare “Pilota di Marina” a fronte di una media di circa 8/10 posti disponibili. La selezione, eseguita nel corso del quarto dei cinque anni di studi, è fatta innanzitutto a fronte di alcuni parametrici fisici invalicabili (come ad esempio un visus naturale di 10 decimi) ed una severa vista medica eseguita presso il Centro di Medicina Aerospaziale dell’Aeronautica Militare di Roma. I selezionati, durante il loro ultimo anno di studi, tra settembre e gennaio, seguono un corso ad hoc e, dopo aver discusso la tesi di laurea magistrale, sono pronti per partire per gli Stati Uniti d’America per conseguire il brevetto di pilota.
L’addestramento negli Stati Uniti
La US Navy, ogni anno mette a disposizione dai 6 ai 10 posti presso le proprie scuole di volo per piloti di Marina dove i futuri top-gun italiani svolgono sia dei corsi teorici, sia pratici, questi ultimi sia di livello basico che intermedio ed avanzato. Nel dettaglio, tutti i giovani allievi piloti italiani, allorché giungono negli Stati Uniti, partecipano ad una prima fase di indottrinamento teorico presso N.A.S. (Naval Aviator School) Pensacola (Florida) dopo di che tutto il gruppo si trasferisce al NAS Whiting Field (Florida) dove fanno le prime esperienze di volo librandosi nel cielo con un T6 Texan. Al termine di questa fase, in virtù delle loro attitudini, sono scelti i piloti che frequenteranno il corso per volare sui jet.

Gli italiani che non sono stati selezionati per volare sui jet, si spostano presso il NAS di Corpus Christi (Texas) dove, al termine dei voli d’istruzione sul T44 Pegasus conseguono il brevetto di “Naval Aviator” (US Navy). Dopo di che avviene uno sdoppiamento di questo gruppo: una parte di essi rientra in Italia con il brevetto per ala fissa ed effettua in Patria il passaggio abilitativo per l’aereo P72 per la lotta antisom. Gli altri, destinati agli elicotteri, tornano al NAS Whiting Field dove faranno esperienza volando sull’elicottero TH57 conseguendo alla fine il brevetto per ala rotante.
I piloti selezionati per volare sui jet, viceversa, terminata la loro esperienza su T6, si trasferiscono al NAS Meridian (Mississipi) dove al termine dei voli di istruzione sul T45, anch’essi conseguono il brevetto di Naval Aviator (US Navy). Con tale abilitazione in tasca, costoro vengono quindi inviati presso la Marine Corps Air Station (MCAS) di Cherry Point (North Carolina) per effettuare la transizione operativa su AV8; una volta conseguita, ritornano in Patria.
In totale, i nostri top-gun rimangono negli USA circa un anno e mezzo, se conseguono solo il brevetto per alla fissa ad elica, circa due anni se si brevettano elicotteristi, circa tre anni se devono pilotare un jet. Non bisogna dimenticare poi i piloti del Corpo delle Capitanerie di Porto i quali conseguono il brevetto di Naval Aviator presso NAS Corpus Christi e poi rientrano in Italia per quindi pilotare aerei ad elica o elicotteri della CP.
Normalmente gli italiani non trovano particolari difficoltà nel seguire i corsi forse eccezion fatta, nei primi tempi, nella comunicazione verbale a causa della particolare cadenza e l’uso massivo di termini tecnici.

Ma la tenacia e le forti motivazioni che li contraddistinguono, consentono loro di superare qualsiasi ostacolo. A confermare la bravura dei giovani piloti della Marina Militare, vi è la circostanza che, salvo rarissime eccezioni (solitamente causate da problemi di salute), tutti i frequentatori dei vari corsi di pilotaggio negli Stati Uniti d’America conseguono il brevetto, cosa che non sempre capita ai “padroni di casa”.
Il rientro in Italia
Coloro che tornano in Patria con l’abilitazione al pilotaggio di elicotteri, devono però seguire un ulteriore corso per poter volare sulle macchine che adotta la Marina Militare. Infatti, come accennato in precedenza, i nostri elicotteristi che si brevettano negli USA, conseguono l’abilitazione per il TH57 “Sea Ranger” (derivato dell’elicottero commerciale Bell Jet Ranger 206) di prossima sostituzione con il nuovo elicottero Leonardo TH-119 (versione d’addestramento militare del AW-119K). Pertanto, una volta tornati in Italia, effettuano un “corso di transizione” sul modello di macchina che poi dovranno adoperare. Tale corso ha due fasi: la prima è teorica, ha una durata di circa 2 mesi e mezzo e viene svolta presso l’Ufficio Corsi di Maristaeli Catania. Solitamente si svolge “in presenza”, talvolta in modalità FAD. La seconda è pratica e si svolge direttamente presso il “Gruppo” (alias Reparto) dove si è stati assegnati (1° Gruppo Elicotteri a Luni (SP) su EH101, 2° Gruppo a Catania su AB 212, 3° Gruppo a Catania su EH101, 4° Gruppo a Grottaglie (TA) su NH90 e 5° Gruppo a Luni (SP) su NH90.

È opportuno evidenziare che questi uomini e donne della Marina Militare che pilotano aerei ed elicotteri dell’Aviazione Navale, sono comunque degli Ufficiali di Marina per cui hanno una formazione culturale e professionale deputata al “comando” ed alla leadership. Pertanto nel loro inter di carriera vi sono gli stessi obblighi di corsi ed incarichi, propedeutici per l’avanzamento, che hanno anche gli altri Ufficiali dei “Ruoli Normali” il che significa che, con il grado di Tenente di Vascello, devono frequentare la “Scuola Comando Navale” (la cui durata normalmente è di un quadrimestre) e, successivamente, disimpegnare per almeno 12 mesi il non facile compito di “Comandante di Unità minori” (come Cacciamine, Moto Trasporti, Navi Cisterna e naviglio ausiliario di ridotte dimensioni). Questi obblighi di carriera, che inevitabilmente li sottraggono alla loro “mission” principale (il pilotaggio), comportano dei deficit nella disponibilità di personale in grado di condurre aerei o elicotteri.
L’Ufficiale Pilota di Complemento
La Marina Militare, per ovviare a questa carenza, ha creato un’altra figura di “top-gun”, l’Ufficiale Pilota di Complemento, bandendo annualmente un concorso ad hoc per reclutarne un numero variabile tra le 7 e le 10 unità destinandoli al pilotaggio di elicotteri o jet, in virtù delle personali attitudini seguendo il medesimo iter formativo e gli stessi criteri di selezione descritti in precedenza per il Piloti dei “Ruoli Normali”.

In via preliminare è opportuno specificare che costoro, uomini e donne che siano, per partecipare alle selezioni devono avere un’età compresa tra i 18 ed i 23 anni ed essere in possesso di un qualsiasi titolo di studio di Scuola Media Superiore, faranno parte della categoria degli “Ufficiali a Ferma Prefissata” ma, a differenza dei loro colleghi che acquisiscono altre specializzazioni nell’ambito dello Stato Maggiore o che fanno parte di altri Corpi della Marina (Genio Navale, Commissariato, Capitaneria di Porto, ecc.) non hanno una ferma di 30 mesi, bensì di 12 anni. Una volta selezionati, i giovani seguono un corso in Accademia Navale per l’indottrinamento basico e partecipano ad un corso di pre-pilotaggio teorico per poi svolgere lo stesso iter formativo dei colleghi dei “Ruoli Normali” andando anche loro negli Stati Uniti per conseguire le abilitazioni al pilotaggio di aerei o elicotteri.

Fig. 15 – Un elicottero NH90 della Marina Militare pronto al decollo dal ponte di volo di una fregata del tipo FREEM, per un volo notturno (Foto Marina Militare)
Merita di essere sottolineata la circostanza che i “Piloti di Complemento”, proprio perché liberi dagli obblighi di comando, rappresentano la “manovalanza” (nel senso buono del termine) nell’ambito dei top-gun di Marina italiani poiché si dedicano esclusivamente a questa attività per tutto il periodo della ferma al termine della quale possono scegliere se uscire dalla Forza Armata o sostenere un apposito concorso per passare in S.P.E. (Servizio Permanente Effettivo) e proseguire nel loro lavoro anche se con uno sviluppo di carriera alquanto limitato rispetto ai loro collegi dei “Ruoli Normali”. Quest’ultimi, viceversa, volano di meno in quanto hanno un’impostazione di carriera di tipo dirigenziale che spesso li porta a rivestire incarichi di comando prestigiosi e di alto rilievo, fino a poter anche raggiungere il vertice della Forza Armata. L’esempio massimo di quanto testé affermato è l’attuale Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, l’Ammiraglio di Squadra Giuseppe Cavo Dragone, che negli anni 90 fu uno dei primi (e dei migliori) piloti di Harrier.

Tutti i piloti di Marina, sia di aerei sia di elicotteri, sia dei Ruoli Normali sia di Complemento, per mantenere valida la loro abilitazione devono effettuare un minimo di 6 ore di volo all’anno. Non esiste un’età massima oltre la quale non è consentito effettuare voli operativi tuttavia l’autorizzazione al pilotaggio è vincolata al possesso di ben specifici parametri sanitari che vengono periodicamente verificati. Qualora un pilota, soprattutto tra quelli di Complemento passati in SPE, dovesse risultare non idoneo per motivi di salute, solitamente rimane nella componente ma con funzioni istruttive teoriche o di gestione di scorte e materiali onde poter continuare ad utilizzare proficuamente la professionalità acquisita negli anni.
Conclusioni
Diventare un “Pilota di Marina” non è certo un’impresa facile né alla portata di tutti. Sono richieste qualità psicofisiche particolari, coraggio e determinazione. Per rendere estremamente chiaro cosa significa essere oggi un “top-gun” su una nave della nostra Marina, ritengo proficuo riportare una personale esperienza vissuta un po’ di anni fa a bordo di una nostra Unità che avevo raggiunto in mare (in Adriatico) volando con un AB 212 per accompagnare un gruppo di giornalisti. Dopo l’arrivo a bordo ed i convenevoli di rito, ci portarono a fare un breve tour della nave. Ad un certo punto giungemmo dinnanzi alla porta che dava accesso alla “Saletta Pre-flay” (presente su tutte le navi dotate di ponte di volo) dove abitualmente il personale di volo e gli altri ufficiali di bordo si incontrano per effettuare i briefing pre e post missione. Ebbene: la mia attenzione fu catturata da una targhetta posta sulla porta di ingresso che recitava così: “Per noi è questione di centimetri e non di metri”! Incuriosito chiesi chiarimenti al pilota che mi aveva condotto a bordo il quale, con un mezzo sorriso, mi disse: “Vede, per noi, Piloti di Marina, fare un solo errore di centimetri e non di metri nella fase di appontaggio su una nave, soprattutto quando c’è mare, il più delle volte significa trovarsi con le natiche a mollo e le posso assicurare che non è una cosa piacevole perché il più delle volte ci si rimettono le penne!”.

Un motivo in più per affermare che i Piloti di Marina italiani, sono persone speciali, professionalmente molto preparate e, sebbene il loro habitat naturale sia l’immensità del cielo, non dimenticano mai il loro legame con la nave poiché, in fondo, hanno acqua salata nelle vene!
Claudio Romano