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Seoul, tra la minaccia nordcoreana e i rapporti non facili con gli alleati

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Segnali di deterioramento delle relazioni tra le due Coree sono riportati sempre più frequentemente da fonti stampa.

L’ultimo si riferisce al 28 novembre scorso, la Corea del Nord ha lanciato due “proiettili” presumibilmente da un lanciatore multiplo, dall’area di Yeonpo, nella provincia orientale dell’Hamgyong meridionale, verso il Mare orientale. Secondo lo stato maggiore della difesa sudcoreano, i “proiettili” sarebbero stati sparati in un intervallo di 30 secondi e avrebbero volato per circa 380 chilometri, raggiungendo un’altitudine massima di circa 97 km.

Il lancio sarebbe il 13° test condotto dall’inizio di quest’anno dalla Corea del Nord e il quarto test di questo tipo di lanciatore, che si presume abbia un diametro di 600 millimetri. Pyongyang aveva precedentemente testato l’arma il 24 agosto, il 10 settembre e il 31 ottobre.

Il 26 novembre scorso, la Corea del Sud ha protestato fortemente con Pyongyang per un’esercitazione a fuoco dell’artiglieria nordcoreana. Secondo fonti stampa, il leader nordcoreano, Kim Jong Un, avrebbe ordinato un’esercitazione a fuoco, durante un’ispezione ad un’unità militare sull’isola di Changrin. L’isola si trova a nord della Northern Limit Line, a largo della costa occidentale della penisola, un confine marittimo di fatto, che in passato è stato un punto molto caldo per sanguinose scaramucce navali.

L’esercitazione si sarebbe svolta lo scorso sabato, in concomitanza con il nono anniversario dell’attacco nordcoreano avvenuto il 23 novembre 2010. In quell’occasione la Corea del Nord aveva bombardato l’isola sudcoreana di Yeonpyeong, causando la morte di quattro persone. Secondo quanto dichiarato dal portavoce del ministero della difesa sudcoreana, Choi Hyun-soo, Seoul, nella protesta inviata a Pyongyang, ha precisato che il fuoco di artiglieria ha violato il patto militare firmato dai due paesi lo scorso anno, nel tentativo di allentare le tensioni tra i due paesi. Questa sarebbe la prima volta che Seoul accusa formalmente Pyongyang di aver violato tale patto. Choi ha affermato che la denuncia è stata presentata tramite una linea di comunicazione militare inter-coreana.

L’accordo militare completo, che è stato firmato il 19 settembre 2018, durante il terzo vertice tra Kim Jong-un e il presidente sudcoreano Moon Jae-in, ha segnato il culmine negli sforzi per migliorare i rapporti tra i due paesi. Il patto comprende una serie di misure volte a prevenire le ostilità, compreso un accordo per la cessazione di tutte le esercitazioni a fuoco e di manovra marittima all’interno di determinate zone dei mari su entrambi i lati della penisola.

Attualmente la Corea del Nord soffrirebbe di una crescente frustrazione per il rifiuto degli Stati Uniti di revocare le sanzioni economiche punitive in cambio di passi verso la denuclearizzazione. Washington insiste sul mantenimento della sua campagna di pressione fino a quando il Nord non accetta di rinunciare alle sue armi nucleari. La Corea del Nord ha mantenuto una moratoria autoimposta su missili a lungo raggio e test nucleari che il presidente Donald Trump ha definito una linea rossa per gli Stati Uniti. Ma, recentemente, Pyongyang ha condotto esercitazioni di artiglieria e lanci di missili a corto raggio, nel mare che separa la penisola dal Giappone.

La Corea del Nord ha aumentato le pressioni sugli Stati Uniti, sostenendo che non parlerà di denuclearizzazione fino a quando Washington non abbandonerà la sua “politica ostile” contro Pyongyang.

La Corea del Sud ha criticato i lanci precedenti in quanto violano lo spirito dell’accordo militare.

Queste non sono le uniche preoccupazioni di Seoul, poiché, ultimamente si è trovato ad affrontare una controversia con il Giappone per l’esclusione dalla cosiddetta “White list”, (esclusione, da parte del Giappone, dalla lista dei paesi privilegiati per l’esportazione) con la conseguente minaccia sudcoreana di interrompere il trattato GSOMIA con Tokyo. Minaccia poi rientrata all’ultimo momento, sei ore prima della scadenza. Il GSOMIA è un trattato firmato da Seoul e Tokyo nel novembre 2016, per condividere informazioni militari sui programmi nucleari e missilistici della Repubblica Democratica Popolare di Corea.

L’altra questione, che in questo momento è motivo di contrasto tra Seoul e Washington, è la cooperazione di sicurezza e precisamente sui negoziati per decidere il contributo sudcoreano per il mantenimento dei 28.000 soldati americani sul suolo sudcoreano.

Seoul paga circa 1 miliardo di dollari nell’ambito di un accordo che scade quest’anno, ma Trump chiede un aumento di 5 miliardi di dollari. 

(Invece per quanto riguarda il Giappone, Trump starebbe chiedendo quattro volte di più rispetto all’attuale contributo).

L’alleanza di sicurezza tra i due paesi potrebbe andare in pezzi a causa delle richieste palesemente eccessive di Washington.

Trump avrebbe precedentemente minacciato di ritirare le truppe statunitensi qualora le sue richieste non venissero soddisfatte. Ma potrebbe trattarsi di una tattica per ottenere il massimo dalle trattative?

La stragrande maggioranza dei coreani (96%) in base ad un recente sondaggio dell’Istituto coreano per la riunificazione nazionale si oppone all’idea che Seoul paghi di più per la presenza militare degli Stati Uniti.

Il 21 novembre scorso, membri del Partito Democratico coreano al potere (DPK) hanno espresso l’idea di ricalcolare ed includere i contributi finanziari indiretti sudcoreani per le forze armate statunitensi (USFK) come “leva” se Washington continua a insistere.

Cho Jeong-sik , capo politico del DPK, ha riferito che “la Corea sta dando grandi contributi in molte categorie direttamente e indirettamente. Ad esempio, la Corea sta permettendo che le forze USFK utilizzino porti, ferrovie e terreni gratuitamente per un valore pari a di 3,5 trilioni di won al 2015.

La convinzione del presidente Trump secondo cui gli alleati starebbero beneficiando della protezione militare americana a un basso costo è ben nota.

Trump si è lamentato dell’eccessivo costo di mantenimento dei 28.000 soldati americani nella penisola coreana e, secondo quanto riferito, avrebbe messo in discussione anche la presenza americana in Corea del Sud.

La sua richiesta che i sudcoreani quintuplichino approssimativamente ciò che pagano agli Stati Uniti ha portato a una brusca interruzione dei negoziati sulla suddivisione dei costi.

Le truppe americane in Corea del Sud, presenti dalla guerra 1950-53, non sono destinate a lasciare il paese tanto presto, grazie in parte alla resistenza del Congresso bipartisan al dumping di Trump sugli alleati. Inoltre, il National Defense Authorization Act per il 2019 limita l’utilizzo dei fondi per ridurre il numero totale dei membri delle forze armate in servizio attivo, schierati nella Repubblica di Corea, al di sotto di 22.000 unità, a meno che il segretario alla difesa non possa certificare che gli alleati siano erano stati consultati e che la riduzione non danneggerà la loro sicurezza, o quella americana.

Seoul paga quasi la metà del costo per il mantenimento delle truppe americane in Corea del Sud e spende gran parte del proprio bilancio della difesa in armi comprate negli Stati Uniti. Quelle stesse truppe costerebbero molto di più se fossero mantenute nelle in basi negli Stati Uniti, e il fatto di essere operativi in Corea del Sud fornisce un addestramento che le esercitazioni di routine negli USA non potrebbero mai replicare.

L’approccio mercantile di Trump sulla permanenza delle truppe americane all’estero è molto dannoso per Washington, per la sua immagine nel mondo e per la sua sicurezza. Molti criticano il presidente americano per il fatto di ridurre la questione delle forze americane all’estero alla a una mera forza questione mercenaria a scopo di lucro.

Sia la Strategia di sicurezza nazionale che la Strategia di difesa nazionale affermano che l’intera regione dell’Indo-Pacifico è fondamentale per la continua stabilità, sicurezza e prosperità dell’America.

La presenza americana rappresenta una catena di contenimento per la Cina, rivale potente e ambizioso in Asia e in continua crescita soprattutto nella regione Indo-Pacifico.

L’eventuale disinteresse e disimpegno statunitense dalla regione consentirebbe comporterebbe l’uscita di a Corea del Sud, Giappone e altri paesi asiatici di uscire dalla sua orbita americana, con la conseguente perdita di influenza in un’area fortemente in crescita, permettendo ad altre potenze di espandere la propria influenza nell’area.

Nel frattempo, il 17 novembre scorso, i ministri della difesa di Corea del Sud, Jeong Kyeong-doo, e Cina, Wei Fenghe, a margine dei colloqui di sicurezza regionali a Bangkok, hanno concordato di istituire ulteriori hotline militari e di proseguire con una visita di Jeong in Cina il prossimo anno allo scopo di “promuovere gli scambi bilaterali e la cooperazione nella difesa”.

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