Negli ultimi tre mesi, il conflitto ucraino ha attirato gli occhi dell’intero globo, ma, di due Paesi in particolare, Cina e Taiwan. Mentre mondo politico e media si focalizzano sull’evolversi del conflitto attualmente in corso, a Taiwan la difesa aerea continua ad andare in allarme per i continui avvicinamenti di velivoli cinesi. Agli inizi di maggio, nel Pacifico occidentale, si è assistito all’ennesima dimostrazione di forza da parte cinese, con un impressionante schieramento di navi e velivoli, che ha spinto, senza mezzi termini, rappresentanti del Governo giapponese a dichiarare: “Non facciamo diventare Taiwan una nuova Ucraina”.
Sebbene i paralleli tra quella che è la situazione ucraina e quella di Taiwan non siano molti, sia la stessa Taiwan, sia la Cina, starebbero osservando attentamente gli sviluppi del conflitto in atto. Secondo gli esperti di geopolitica, né a Pechino, né a Taipei si vuole incorrere negli stessi errori commessi da entrambi i contendenti, ma, soprattutto, si vuol capire se e fino a che punto gli Stati Uniti potrebbero decidere di intervenire per difendere l’indipendenza di Taiwan da un attacco cinese.
L’essere sotto lo scudo di influenza americana certamente non fa dormire serenamente Taiwan, in particolare per la evidente crescita esponenziale delle forze armate cinesi negli ultimi due lustri, ma per l’atteggiamento intransigente con cui questa si pone nei suoi confronti e degli altri Paesi che affacciano sul Mar Cinese Meridionale.
Fonti più ottimistiche affermano che queste grandi esercitazioni rappresentino solo un’azione intimidatoria per tenere sotto pressione l’isola, ma altre, in particolare l’Ammiraglio statunitense Philip Davidson, comandante delle forze statunitensi in quel teatro, sono ferme sull’affermare che tale dimostrazione di forza sia il preludio di un’invasione su vasta scala, da realizzarsi nell’arco dei prossimi cinque/sei anni.
Manovre, atte a tenere a bada gli “indipendentisti” che, a partire dal 2016, grazie all’amministrazione Trump, hanno beneficiato di nuove forniture militari sottoforma di caccia F-16 (66 nuovi F-16V acquistati ad ottobre 2019, più l’aggionamento a questo standard di 142 esemplari della versione già in organico), carri da battaglia M1 Abrams, missili terra-aria Patriot e missili antinave Harpoon per difesa costiera.
Dall’altra parte la Cina, ha messo in atto un imponevole ammodernamento del proprio strumento militare che ha permesso ad Aeronautica, Esercito e Marina di potersi “liberare” dei tanti (e obsoleti) materiali di origine sovietica. Di queste nuove acquisizioni, quella che desta più preoccupazioni sia a Taiwan, sia negli altri Paesi, è rappresentata dal nuovo naviglio ordinato (o già consegnato) negli ultimi cinque/dieci anni dalla Marina. cacciatorpediniere Type 052 (della stessa classe dei Burke statunitensi), tre LHD Type 075 (Classe Yushen in codice Nato) e delle due portaerei STOBAR Liaoning e Shandong (la Type 003, prima portaerei indigena CATOBAR dovrebbe essere varata nei prossimi mesi). Sicuramente, un forza assolutamente non ancora paragonabile alla US Navy, che, però, incute non pochi timori ai propri vicini che, fino alla fine degli anni novanta dovevano fronteggiare navi armate solo di “cannoni e cariche di profondità”.
IL PIANO DI INVASIONE
Secondo fonti cinesi, esisterebbe un piano ben preciso a riguardo di una presunta invasione di Taiwan.
In linee generali, l’invasione dovrebbe essere nulla di sensazionale, ma basarsi su di un “classico” della strategia militare; massiccio lancio di missili e bombardamenti su obiettivi sensibili, seguito da un altrettanto massiccio dispiegamento di fanteria di marina da navi e mezzi anfibi, coadiuvati dal cielo da un altrettanto massiccio lancio di truppe aerotrasportate.
Le stesse fonti dichiarano che, i primi ad essere colpiti sarebbero gli assetti più importanti della difesa di Taipei; attacchi eseguiti con missili balistici a corto raggio che andrebbero a colpire basi aeree, installazioni radar e di comunicazione, ma in particolare centri di comando e controllo.
Si passerebbe, poi, a lanci di missili cruise che avrebbero come obiettivi depositi di munizioni, nodi di comunicazione stradale e ferroviari, in modo da impedire i movimenti e la capacità di una rapida reazione alle truppe a difesa dell’isola.
Così come presentato, sulla carta, sembrerebbe il “piano perfetto”, che da una rappresentazione quasi nulla delle difese di Taiwan, facendole sembrare (molto tiimisticamente) facilmente piegabili a paragone della mastodontica forza militare di Pechino. Di conseguenza, sia gli esperti in materia si sono posti una domanda: realmente le difese d Taiwan potrebbero essere annientate così facilmente?
A detta di fonte più ottimistiche, a cadere subito sarebbero le isole più piccole, (evento che comunque potrebbe essere scongiurato se intervenissero gli Stati Uniti), ma non l’isola maggiore. Innanzitutto, la distanza che intercorre tra il continente è l’isola non è trascurabile. Andando più nello specifico, la domanda che ci si è posta è questa: la Cina, a prescindere dal numero di navi che potrebbe schierare, riuscirebbe a superare un certa distanza (circa 200 km) senza essere prima avvistata dalle difese avversarie, le quali, sarebbero di per se già in stato di allerta perché abituate alle continue “manifestazioni di forza”?
Aspetto da non sottovalutare, poi, da parte dello stato maggiore cinese, è rappresentato dai Paesi alleati (ma anche confinati) di Taiwan che, senza nemmeno rivelarsi, potrebbero spazzare via navi e mezzi da sbarco con le loro modernissime unità subacquee, avendo interesse a difendere lo Stretto di Formosa dall’azione cinese.
Se anche lo sbarco si rivelasse più semplice del previsto, le truppe cinesi si troverebbero a fronteggiare non l’ultimo, ma uno degli eserciti meglio equipaggiati, che, fattore importante sul campo di battaglia, si ritroverebbe a combattere su di un terreno ad esso più congeniale, sia per la conoscenza del territorio, sia perché sicuramente coadiuvato da truppe paramilitari o civili armati.
I civili, altro nodo cruciale di questa vicenda da analizzare con molta attenzione. Dopo la riunificazione con Hong Kong, dopo il fallimento della formula “un Paese, due sistemi”, i Cinesi, avranno o no messo in conto che i Taiwanesi non staranno ad aspettarli così mansueti? Sicuramente, troverebbero di fronte un popolo che difficilmente si farebbe piegare nelle prime ore della guerra.
Dopo queste considerazioni, anche se l’invasione avesse successo, ci sarebbero vari punti da analizzare, in primis i rapporti con i paesi dell’area: Giappone, Corea del Sud, Filippine e Vietnam su tutti, sarebbero i primi a troncare le relazioni diplomate,e , di conseguenza, sarebbero costrette ad aumentare amplificare ancora di più le proprie difese, perché preoccupati da una eventuale grave minaccia. Pesantissime sarebbero le sanzioni economiche, che, unite ai costi della guerra, andrebbero comunque a gravare sulla propria economia.
Un altro punto fondamentale è la credibilita del Partito: quanto sarebbe ancora credibile se le conseguenze di un’invasione porterebbero a delle sanzioni da parte della comunità internazionale?
In tanti, come lo scrivente, credono che i vertici cinesi se le siano poste certe domande; come credono che un’invasione non sia imminente e che i cinesi continueranno con le loro manifestazioni di forza, sia per tenere a bada Taipei, sia per dare mandare un messaggio alla US Navy: la Cina c’è.
L’intervento del Presidente Joe Biden
Da ultimo, sono intervenute le chiare parole del Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, pronunciate a margine di una riunione con Paesi alleati e partner nell’area dell’Indo-Pacifico relative alla volontà di Washington di difendere con le armi, se necessario, l’indipendenza di Taiwan che suonano come un deciso monito alle velleità cinesi continentali di riunificazione con la forza dell’isola-stato.
Questo messaggio va letto anche con l’imminente rielezione a Segretario Generale del Partito Comunista Cinese di Xi Jinping da parte del Comitato Centrale in un momento in cui il Paese è alle prese con la crisi economica indotta dalla pandemia che sta causando grossi problemi a Shangai ed in altre aree del Paese e dalla crisi ucraina-russa che ha minato i mercati delle materie prime, gas e petrolio; se a Pechino qualcuno pensava che Washington fosse distratta dalla guerra tra Mosca e Kiev e di avere le mani libere, o quasi, per “risolvere la diatriba condominiale” si è evidentemente sbagliato.