Nel 1952 il decimo sovrano della dinastia Mehmet Ali e ultima testa coronata d’Egitto Sua Maestà Re Faruq I lascia il trono del Cairo in seguìto alla Rivoluzione dei Liberi Ufficiali guidata da Gamal Abdel Nasser che introdurrà nel Paese le istanze del Panarabismo Arabo, del Ba’ath e avvierà quella lunga tradizione che vedrà i militari come fulcro e colonna della politica nazionale facendo dell’Egitto il leader spirituale della maggior parte del Mondo Arabo nonché attore principale delle dinamiche del MENA (Middle East-North Africa) e della Lega Araba nei decenni a venire.
Il 17 Settembre 1978 vengono firmati gli accordi di Camp David portando alla fine dei conflitti arabo-israeliani (con il trattato di pace del 1979) e segnando un paletto fondamentale nelle relazioni intrattenute dal Cairo nel più ampio contesto della Guerra Fredda essendo il primo Paese Arabo a riconoscere ufficialmente lo Stato d’Israele e ponendo fine alle coalizioni che per un ventennio hanno attentato all’esistenza di Tel Aviv.
Gli accordi di Camp David hanno rappresentato e rappresentano tutt’ora un punto focale della foreign policy della governance egiziana avendo permesso al Paese dei Faraoni di intrattenere rapporti positivi con i principali attori della Guerra Fredda, continuando gli ottimi rapporti con l’Unione Sovietica iniziati con Nasser e incominciando una sempre più stretta partnership con gli USA e il blocco occidentale sotto il governo del colonnello nubiano Answar Al-Sadat ( firmatario appunto di Camp David ) iscrivendo l’Egitto come uno dei clienti preferiti dell’industria bellica statunitense al punto tale da diventare per Washington il secondo partner e destinatario di fondi per la spesa militare esterno alla NATO dopo Israele.
Dalla firma della pace con Tel Aviv l’Egitto è infatti destinatario annuo di fondi da parte dello U.S. Department of Defense da impiegare nella spesa militare presso aziende e società statunitensi avendo permesso quindi nel corso del tempo la recezione di una varietà di materiali e sistemi per la difesa tra cui spiccano le flotte di carri armati M1A1 Abrams ( 1360 stimati in servizio tra consegnati dagli USA e assemblati in Egitto ) e di caccia multiruolo F-16, nelle varie versioni, di cui l’Egitto è il quarto utilizzatore al mondo con una componente di oltre 200 apparecchi in servizio.
Le Primavere Arabe del 2011 hanno bussato anche alle porte egiziane portando a una breve parentesi di stacco dai governi retti da militari rovesciando dopo un trentennio il colonnello dell’aeronautica Hosni Mubarak e, per la prima volta dal 1952, portando al governo un candidato eletto democraticamente, rappresentante inoltre della Fratellanza Musulmana, ovvero Mohamed Morsi (preceduto dalla breve parentesi del governo ad interim del generale Tantawi). Il governo Morsi tuttavia dura poco venendo soppiantato già nel 2013 da un golpe portato avanti dai militari che bandendo Morsi e la Fratellanza Musulmana ristabiliscono il regime militare e aprono la strada all’ascesa di un ufficiale fino ad allora di secondo piano ma già giovane membro dello SCAF (Supreme Council of the Armed Forces), il futuro Feldmaresciallo Abdel Fattah Al-Sisi.
L’Egitto di Al-Sisi, i punti sull’agenda del Generalissimo
Se da una parte le speranze democratiche nate nelle ceneri del regime di Mubarak sembrano sopite con la “controrivoluzione” del 2013 il governo Al-Sisi unisce la fermezza della democrazia in stellette che ha caratterizzato l’Egitto per oltre mezzo secolo a una nuova visione strategica del Paese ambendo a uno sviluppo produttivo interno, che seppur marcato da gravi mancanze e dal controllo assoluto dello SCAF sull’economia nazionale presenta punti interessanti come lo sviluppo infrastrutturale e urbanistico di un Paese che alterna scenari desertici ad enormi agglomerati urbani congestionati e a una proiezione di potenza dell’Egitto nel Mediterraneo Orientale in funzione anti-Ankara al costo di diventare sempre più vicino ad Israele, nelle questioni del Mondo Arabo con la guerra civile libica sempre attuale sull’agenda del Cairo e nelle recenti dinamiche regionali con in primis la “pericolosa” ( per Egitto ed UAE) primavera (apparentemente) democratica del Sudan e la questione della Grand Ethiopian Renaissance Dam con Addis Abeba, soprattutto alla luce del recente conflitto nella regione del Tigray a cavallo tra Etiopia ed Eritrea e che rischia di sfociare in una grave crisi nella regione del Corno d’Africa.
Il fronte Mediterraneo: le nuove armi il riscatto del Cairo tra le potenze rivierasche
I conflitti in Siria e in Libia in particolare hanno riportato negli ultimi anni l’attenzione del Mondo sul bacino del Mediterraneo Orientale su cui si affacciano due grandi attori della scena geopolitica regionale: la Turchia di Erdogan con una crescente volontà di allargare la propria influenza nella zona partecipando agli scontri per Idlib ma anche alla guerra civile libica nonché interferendo nelle zone d’estrazione dei carburanti nella regione di Cipro e rivendicando sempre più la propria sovranità sulle isole contese con Atene, l’Egitto di Al-Sisi che ambisce a diventare il novello Gheddafi e in parte riuscendoci ottenendo sempre più credito come interlocutore strategico per gli affari regionali e lo dimostrano i forti rapporti stretti con Parigi per la compravendita di moderni sistemi d’arma, l’intensificazione delle operazioni navali nel bacino Mediterraneo Orientale e la sempre crescente e più manifesta intromissione della policy egiziana negli affari arabi di Libia e Sudan in partnership con i principali finanziatori e rifornitori di armi delle realtà arabe in opposizione alle volontà della Sublime Porta di Ankara, gli Emirati Arabi Uniti.
I sviluppi regionali hanno quindi condotto l’Egitto al passaggio da una marina green water, caratterizzata quindi da flottiglie di cacciamine e navi leggere (prevalentemente corvette missilistiche di origine russa e cinese), verso sempre più una marina blue water andando a puntare sulla modernizzazione di una componente sottomarina, seppur ancora debole composta da 4 moderne unità Type 209/1400 affiancate da altrettante vetuste unità modificate della classe Romeo, e sull’acquisizione di moderne unità da combattimento di superficie come le fregate classe FREMM e le corvette classe Gowind in lenta sostituzione delle vetuste unità classe Oliver Hazard Perry, Knox e Descubierta.
Nello sviluppo della Quwwāt el-Bahriat el-Miṣriyya contribuiscono ad ora due fattori chiave ovvero la sempre più stretta collaborazione con Parigi, coronata con la recente decorazione di Al-Sisi con la Legione d’Onore ad opera del Presidente Macron, e l’intensificazione della presenza nel Mediterraneo Orientale attraverso l’aumento dei dispiegamenti e delle operazioni interforze con gli alleati quali per esempio le esercitazioni del ciclo MEDUSA che nel 2020 hanno visto il coinvolgimento di Grecia (ormai consolidata alleata egiziana in funzione anti-Turchia), Cipro, Francia ed Emirati Arabi Uniti, a dimostrazione della sempre maggior presenza di quest’ultimi nelle dinamiche del MENA.
La simpatia tra Parigi e Cairo è alimentata quindi da una bilateralità di interessi comuni reciproci con i francesi che mirano a diventare la potenza egemone nel panorama mediterraneo, politica già ovvia con le operazioni francesi in Libia nel 2011 e nell’Africa sub-sahariana, soppiantando, e per ora riuscendo anche, Roma e tamponando Ankara al costo di favorire e consolidare il potere di un regime non sempre apprezzato dall’Unione Europea quale quello di Al-Sisi che ne ricava supporto diplomatico nelle questioni del Vecchio Continente e allo stesso tempo diventa acquirente di importanti sistemi d’arma e partner commerciale francese mettendosi in pole-position come muro all’ “avanzata neo-ottomana”.
Il dialogo con l’Eliseo ha permesso all’Egitto di mettere mano su importanti contratti nell’ambito difesa quale per esempio l’acquisizione di due unità d’assalto anfibio classe Mistral (inizialmente predisposte per la vendita alla Russia ma poi ritirate in seguito alle sanzioni europee a Mosca per la crisi del Donbass) che però ad oggi risultano “incomplete” tanto da aver costretto la marina egiziana all’installazione di veicoli HUMVEE sul ponte di volo con sistemi Avenger sul cassone per la difesa aerea dell’unità e ad aver portato ad una successiva contrattazione da parte del Cairo con Mosca per la fornitura di sistemi difensivi di bordo e quella della componente aerea imbarcata tra le 20 e le 30 unità composta da elicotteri d’assalto Kamov Ka-52E. Altro frutto della collaborazione con l’industria francese è l’acquisizione della fregata classe FREMM “Tahya Misr” nel 2015 e delle corvette multifunzione classe Gowind su un piano pluriennale in cui alcune unità dovrebbero essere fatte costruire nei cantieri di Alessandria con l’apporto della francese Thales e Naval Group nell’ottica del rilancio dell’economia nazionale e delle infrastrutture.
La fregata multiruolo “Tahya Misr” presenta una configurazione Anti-Submarine Warfare appartenente alla variante Aquitaine del progetto FREMM in dotazione alla Marine Nationale ed è armata con siluri MU-90 Impact, progetto europeo per la lotta antisommergibile, missili Exocet MM-40 Block 3 per la lotta anti-nave di superficie e missili Aster 15 in funzione anti-aerea come componente missilistica accompagnata a prua da un pezzo in 76/62mm della italiana Leonardo.
L’acquisto della FREMM francese ha aperto la strada, molto travagliata a causa dell’omicidio Regeni, a lunghe trattative con l’Italia che finalmente si sono concluse nella prima metà del 2020 con l’acquisto di due unità di fregate della suddetta classe inizialmente destinate alla Marina Militare Italiana in configurazione General Purpose sul modello della classe Bergamini (variante italiana della FREMM), le ormai “ex” Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi. Le unità classe Gowind scelte dall’Egitto nella versione 2500 rappresentano invece un design moderno capace di condurre una moltitudine di operazioni sia in disposizione con unità più grandi che missioni in solitaria dato all’armamento relativamente pesante per un’unità di questo tipo e le capacità stealth dello scafo che porta un OTO Melara da 76mm e vettori per la lotta ASW, Anti-Air ed Air-to-Surface.
Importanti novità hanno toccato anche l’aeronautica militare che già forte di una delle più grandi flotte di F-16 al mondo ha dovuto ricorrere nel tempo all’acquisto di altre piattaforme, principalmente russe e francesi. Il grande problema della componente caccia egiziana composta per la maggior parte, per circa 218 esemplari, dalla piattaforma F-16 è stata a lungo l’incapacità del Cairo di ottenere missili air–to–air a lungo raggio del tipo AIM-120, in dotazione invece all’Israeli Air Force (motivo per il quale né Tel Aviv né Washington hanno mai accettato un’eventuale vendita), dovendosi accontentare di vettori a medio-corto raggio quali gli ormai veterani AIM-7P Sparrow con una gittata non superiore a 90 km impedendo quindi una capacità d’approccio beyond visual range troppo evoluta. I limiti della piattaforma Lockheed Martin, pur egregiamente impiegata negli strike aerei egiziani in Libia, si son visti quindi compensare con l’aggiunta all’inventario egiziano di piattaforme come i caccia multiruolo Dassault Rafale, con configurazione a delta e principalmente per l’impiego nelle regioni settentrionali del Paese anche in funzione anti-nave, continuando la tradizone di apparecchi francesi già iniziata con le piattaforme Mirage 5 e Mirage 2000, e nuove unità specificamente per il combattimento aereo quali i MiG-29M/M2 e persino i recenti Sukhoi Su-35. L’acquisto da parte egiziana della piattaforma Su-35 nel 2020 con un contratto per 30 unità introduce per la prima volta nell’arsenale egiziano un apparecchio da supremazia aerea dando notevole vantaggio operativo all’Egitto di poter applicare pressione sui dispiegamenti turchi non solo nel Mediterraneo Orientale a ridosso di Al-Zohr ma rappresentando di fatto una minaccia per lo schieramento rinforzato da Ankara a difesa della Tripolitana del Premier Serraj nonché un tentativo di mettersi in pari con Israele e gli F-35I e F-15E Eagle e Strike Eagle in dotazione a Tel Aviv.
Il fronte MENA: l’Egitto deus ex machina rinato delle questioni arabe?
Gli ultimi cinque anni hanno rappresentato per l’amministrazione Al-Sisi il banco di prova per il rilancio dell’Egitto sul piano internazionale della scena geopolitica alternando momenti di grave caduta come l’incrinazione, mai tanto grave da fermare la compravendita di armi, dei rapporti con l’Unione Europea a causa delle plurime violazioni di diritti umani (vedesi caso Regeni) e le varie sfuriate dell’amministrazione Trump rivolte al Cairo per ogni assegno firmato ai mercanti della difesa di Mosca a momenti in cui l’Egitto è riuscito ad imporsi diplomaticamente e con la forza sulle questioni più salienti del Middle East and North Africa.
In quella che è la guerra civile libica che vede contrapporsi la Tripolitania di Serraj e la Cirenaica di Haftar l’Egitto è riuscito a ritagliarsi il proprio spazio tessendo i fili del conflitto supportando il Generalissimo della Cirenaica fornendo armi e ogni tanto compiendo persino strike aerei ma soprattutto creando nella figura di Abdel Fattah Al-Sisi un punto di riferimento nella coalizione pro-Haftar intrattenendo e supportando le relazioni della Cirenaica con Mosca ed Emirati Arabi Uniti dimostrandosi anche un companion non indifferente nella gestione della crisi anche agli occhi della comuntà europea da cui è nato il forte legame con l’inquilino dell’Eliseo consolidato sull’acciaio delle FREMM francesi e sui Rafale .
Dopo circa 30 anni di regime il 2019 ha visto la caduta di Omar Hasan Ahmad Al-Bashir dal governo di Khartoum dando aria a quella che potrebbe essere la tanto ambita rivoluzione democratica del Sudan e mettendo a rischio gli interessi di quella grande casta militare che per anni ha governato il Paese la cui dipartita rappresenta una grave minaccia per gli equilibri del Mondo Arabo, in particolare UAE, Arabia Saudita ed Egitto, quest’ultimo principale partner politico ed economico sudanese.
Una troppo forte iniziativa democratica del Sudan portata avanti dal Concilio di Transizione rischierebbe infatti non solo di allontanare un “vassallo” del Cairo e il principale fornitore di uomini per la guerra in Yemen alla coalizione saudita ma rappresenterebbe una concreta possibilità di far rinascere a Khartoum la Fratellanza Musulmana che ancora oggi, nonostante il golpe di Al-Sisi e la deposizione di Morsi, rappresenta una delle più gravi minacce alla politica interna egiziana tanto da essere bandita e dichiarata organizzazione terroristica dal Cairo ma anche dalla maggior parte del Mondo Arabo. L’eventuale rovesciarsi della politica domestica ed estera del Sudan potrebbe portare non solo alla diffusione dell’integralismo islamico ma anche alla formazione di un’entità statale politicamente vicina all’Iran alle porte d’Egitto anche se il rischio sembra sventato con il recente riconoscimento da parte di Khartoum dello Stato d’Israele a cui hanno seguito minacce di una ritorsione ad opera di Teheran.
La proiezione della politica egiziana nel continente ha avuto come punto cruciale anche la questione legata alla GERD e ai relativi problemi che potrebbe portare un controllo quasi monopolista da parte dell’Etiopia sulle acque del Nilo nei confronti di Sudan ed Egitto, con le relative economie a serio rischio, che rivendicano l’esclusiva proprietà del fiume e delle relative acque in seguito al Nile Waters Agreement del 1959. L’Egitto è arrivato persino a minacciare raid aerei sul cantiere della GERD non lasciando migliorare la situazione a causa anche della recente crisi del Tigrayche ha visto anche scontri di confine tra truppe sudanesi ed etiopi con l’immediato supporto diplomatico del Cairo a Khartoum.
L’Egitto di Al-Sisi è allo stato attuale un attore interessante nonché sempre di maggior peso nello scacchiere mediterraneo e in quello arabo e Il Cairo, vista anche la riluttanza del Generalissimo di lasciare le redini del governo in seguito alla riforma costituzionale del 2019, si trova su una strada che può concretamente portare il Paese a un forte crescita e relativa prosperità nonostante le gravi lacune che hanno caratterizzato l’Egitto sin dai tempi di Nasser e al costo di mantenere cristallina la policy dei governi in uniforme e delle sempre frequenti e spesso gravi violazioni dei diritti umani.
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